Draghi: “I governi ascoltino i giovani, anche l’Italia fa poco”

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I governi ascoltino i giovani
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Draghi, governi ascoltino giovani

ROMA. – I giovani “futuro della nostra democrazia” colpiti più di tutti dalla crisi. Spesso traditi da governi che saprebbero cosa fare per dare una chance ai loro sogni, ma non lo fanno. E invece “devono farlo, per il futuro dei giovani dei loro Paesi e per le loro democrazie”. Mario Draghi torna sulla nota dolente della disoccupazione giovanile a due cifre in parte d’Europa, delle politiche economiche e fiscali che spesso scaricano sui giovani, politicamente meno attrezzati, i costi creati dai meno giovani.

Con toni allarmati per il futuro: “in diversi paesi abbiamo visto che il peso della crisi è caduto in maniera sproporzionata sui giovani, lasciando un’eredità di speranze tradite, rabbia e in definitiva sfiducia nei valori della nostra società e nell’identità della nostra democrazia”.

Il presidente della Bce si rivolge ai Paesi – Italia inclusa con una disoccupazione giovanile del 35,4%, seconda solo a Grecia e Spagna – in cui tradizionalmente i giovani hanno pochissimo ‘peso’ politico. “La segmentazione del mercato del lavoro e una scarsa formazione professionale sono tra i principali motivi dell’elevato tasso di disoccupazione giovanile persistente in diversi Paesi colpiti gravemente dalla recessione come Italia, Grecia, Spagna e Portogallo”.

Dal Trinity College di Dublino, fra studenti e neolaureati, una platea piena di domande pertinenti, Draghi invita i giovani europei alla mobilità, all’iniziativa, al cambiare lavoro, Paese, ambiente. “Rimanete curiosi, non smarrite mai il vostro coraggio” verso la novità. Certo, riconosce il presidente della Bce, “in alcuni Paesi” dell’Eurozona “sono stati fatti passi avanti per ridurre la disoccupazione giovanile e col consolidamento della ripresa diminuirà ulteriormente”.

Certo il Pil dell’Eurozona va verso la crescita più forte del decennio (atteso dalla Bce a +2,2% quest’anno) e ha creato, dati alla mano, “oltre sei milioni di posti di lavoro”, riconosce Draghi. La disoccupazione giovanile è scesa dal mostruoso record 24% del 2013. Ma rimane al 19%, ben quattro punti percentuali in più che dieci anni fa. Non solo: qualcosa come il 17% dei giovani fra i 20 e i 24 anni “non studia, non lavora e non fa formazione”: è l’esercito dei ‘Neet’, i ‘Not in education, employment or training’ che hanno perso la speranza, cui spetta ai governi dare una risposta: non con i sussidi ma con “forme di protezione omogenee tra i lavoratori, accordi di lavoro flessibili, programmi di formazione professionale efficaci, un elevato grado di apertura del commercio e sostegni per ridurre i costi sociali della mobilità”.

Sembra il contrario di ciò che accade in quelle parti d’Europa dove i sindacati appaiono rivolti a proteggere soltanto i propri iscritti, e le organizzazioni datoriali interessate solo a sconti fiscali.

(di Domenico Conti/ANSA)

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