Lega, giudici: “Bossi consapevole della truffa sui rimborsi”

Umberto Bossi con il figlio Renzo. Lega
Umberto Bossi con il figlio Renzo.
Bossi con il figlio

GENOVA. – Umberto Bossi era consapevole della truffa da 49 milioni di euro sui rimborsi elettorali illecitamente ottenuti. Era consapevole perché ne usufruiva per le sue spese personali e quelle dei familiari, mentre Francesco Belsito, l’ex tesoriere della Lega Nord, era l’autore materiale di quelle appropriazioni.

E’ quanto scrivono i giudici del tribunale di Genova che hanno depositato le motivazioni della sentenza con cui lo scorso luglio hanno condannato il Senatur a due anni e due mesi e l’ex tesoriere a quattro anni e dieci mesi. C’è anche stata una nuova puntata della querelle che divide giudici e pm sul sequestro dei fondi del Carroccio. La procura di Genova ha deciso di chiedere al tribunale di poter sequestrare altri soldi sui conti della Lega Nord, compresi quelli depositati in futuro.

Il Senatur era consapevole considerato che, “i suoi familiari e persone del suo entourage – scrivono i magistrati – erano i beneficiari delle spese, anche ingenti, a fini privati”, che “i rimborsi mensili forfettari e in nero, anche per attività inesistenti e comunque non documentate erano erogati anche a favore dei suoi stretti congiunti e collaboratori; che tali prassi era in atto fin dai tempi del tesoriere Balocchi; che per ragioni di carica aveva certamente contatti continui con Belsito che non vi era nessuna logica ragione di effettuare spese ed erogazioni a favore di Umberto Bossi e dei suoi familiari a sua insaputa”.

Le prove, delle irregolarità ma soprattutto dell’uso privato dei rimborsi, “sono nelle telefonate fra la segretaria e Belsito, nella lettera di Riccardo Bossi che chiede al tesoriere di saldare alcuni suoi debiti e che premette di avere l’autorizzazione del padre”.

Secondo i giudici, non appare verosimile la difesa del Senatur quando sostiene che lui si occupava solo della gestione politica del partito. “La consapevolezza delle irregolarità della gestione rendeva inopportuno per Bossi mostrarsi in qualche modo coinvolto nella gestione economica del partito”, scrivono. I giudici si soffermano anche sulla gestione della contabilità, definendola “caotica” e “incredibile”, con modifiche dei registri anche a esercizi già chiusi.

I magistrati ricostruiscono anche la vicenda dei conti off shore a Cipro e in Tanzania e dell’acquisto dei diamanti. “Belsito racconta che Bossi era consapevole del suo progetto di fare quel tipo di investimenti e trasferimenti monetari e lo aveva avallato perché voleva fare un ‘tesoretto’ per un’eventuale campagna elettorale contro Roberto Maroni”.

L’ultima parte è dedicata alla vicenda della confisca dei circa 49 milioni di euro, diventata una vera e propria battaglia. I pm hanno deciso che presenteranno lunedì la richiesta al tribunale di estendere la confisca alla Lega e di non fermarsi ai circa due milioni di euro fin qui sequestrati. I giudici sostengono che i soldi da confiscare sono solo quelli “pertinenti al reato”, mettendo di fatto un limite al blocco di quanto dovesse entrare da adesso in poi nelle casse del Carroccio.

(di Laura Nicastro/ANSA)

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