Elezioni, analisi del risultato: il peso del voto disgiunto

Le operazione di spoglio delle schede per le elezioni regionali in Sicilia. ANSA / CIRO FUSCO
Le operazione di spoglio delle schede per le elezioni regionali in Sicilia. ANSA / CIRO FUSCO

ROMA. – Il non voto è il primo partito, sia in Sicilia che ad Ostia, ed in entrambe le realtà finisce con un testa a testa tra centrodestra unito e M5s. Tanto nell’Isola quanto nel Municipio romano pesa ancora l’esperienza amministrativa negativa del centrosinistra (con scelte fatte nel 2012), fotografata in Sicilia dal voto disgiunto degli elettori di centrosinistra, che pur votando le liste dei rispettivi partiti hanno scelto come candidato governatore quello di M5s o del centrodestra.

Questi alcuni dei trend che emergono dall’analisi del voto in Sicilia e a Ostia. L’Isola ha sempre sorriso al centrodestra e anche nelle Regionali del 28 ottobre 2012 Rosario Crocetta si impose grazie alle divisioni del centrodestra. Crocetta ottenne infatti 617.073 voti (30,48%), meno di quelli dei due candidati di centrodestra che corsero divisi: Nello Musumeci 521.022 voti (25,73%) e Gianfranco Miccichè 312.112 voti (15,41%). Anche allora M5s schierò Giancarlo Cancellieri che raccolse 368.006 voti (18,18%). La sinistra non superò la soglia del 5%.

Se questo è il contesto, domenica il non voto è stato il primo partito: alle urne solo il 46,76% degli aventi diritto, ancora meno del 47,41% di cinque anni fa. A Ostia i votanti sono stati addirittura il 36,11%, venti punti meno del 2016.

I siciliani recatisi alle urne hanno premiato Musumeci, dandogli il 39,5% dei consensi, davanti a Cancelleri che, nonostante una campagna elettorale supportata sin da agosto dai big di M5s, non vince e arriva secondo con il 34,9%. Il candidato imposto al Pd da Leoluca Orlando, Fabrizio Micari, si blocca al 18,7, mentre quello della sinistra, Claudio Fava, che puntava al “sorpasso” su Micari ottiene solo il 6,3%. Quindi con un apporto di Mdp piuttosto relativo.

A Ostia M5s, pur crollando dal 44% del 2016 al 30%, è il primo partito, davanti al Pd che con il 13,7% non arriva al ballottaggio, rinunciando a dare indicazioni di voto al secondo turno. Il centrodestra è invece competitivo (26,7%) ma senza un partito perno, con Fdi primo della coalizione all’9,7% davanti a Fi al 8,5% e a Noi con Salvini al 4%.

In Sicilia due elementi rendono il quadro instabile. Il primo è la frammentazione dei partiti: tra le liste che sostengono Musumeci, Fi ha il 16,2%, Fdi-Noi con Salvini il 5,2%, l’Udc il 7,1% a cui si aggiungono ulteriori liste locali; nel centrosinistra il Pd è al 13,2%, Ap addirittura sotto la soglia del 5%, mentre bene ha fatto la lista promossa da Totò Cardinale, con l’6%.

Fi e Pd bissano grosso modo le performance di cinque anni fa, ma con percentuali di interpretazione complessa sul piano nazionale: nel caso di Fi il risultato ricalca i sondaggi nazionali, per il Pd è assai inferiore, e lo stesso vale per Fdi-Noi con Salvini.

L’altro elemento di frammentazione è il voto disgiunto, cioè quello dato da molti siciliani ad un partito e a un candidato presidente non collegato. Ebbene, mentre Micari ha ottenuto il 18,7%, le liste a lui collegate hanno preso circa nove punti in più. Discorso inverso per Cancelleri, che ha preso sette punti più di M5s, e anche per Musumeci e Fava, entrambi con percentuali leggermente superiori a quelle dei partiti che li sostenevano (+1,6 e + 0,9%).

Quindi molti elettori hanno votato per un partito di centrosinistra ma per Cancelleri come candidato Governatore, e in misura minore per Fava e Musumeci. Dunque M5s è sì il primo partito dell’Isola (27%) ma convince meno del suo candidato e non sfonda. Con il Rosatellum 2.0 non è previsto il voto disgiunto ed è quindi difficile trasporre questa pratica siciliana sul piano nazionale.

(di Giovanni Innamorati/ANSA)

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