Il Papa ai rohingya: “Vi chiedo perdono per l’indifferenza del mondo”

Papa Francesco si incontra con i rifugiati Rohingya. ANSA/ETTORE FERRARI
Papa Francesco si incontra con i rifugiati Rohingya. ANSA/ETTORE FERRARI

 


DACCA. – “Vi chiedo perdono per l’indifferenza del mondo”. “La presenza di Dio oggi anche si dice rohingya”, ha detto il Papa, a braccio, rivolto a un gruppo di 16 profughi dal Rakhine, dopo averli salutati uno ad uno, a Dacca, in un appuntamento commovente e al termine di un incontro interreligioso di grande rilievo. E’ la prima volta che il Papa pronuncia la parola “rohingya” durante questo viaggio in Asia, e lo fa in modo teologicamente molto forte, di fronte ai rohingya in carne ed ossa.

Una affermazione di verità davanti ai rappresentanti della vera sofferenza di un popolo violato nei diritti e nella dignità, un popolo che Bergoglio ha difeso pubblicamente, almeno dal 2015. “E’ dura, vi sono vicino”, ha detto ancora, alla fine del suo incontro con il gruppo di rifugiati, appartenenti a tre nuclei familiari e accolti nel campo profughi di Cox Bazar.

Erano 12 tra uomini e ragazzi, c’erano poi due donne adulte con il velo sul capo, e due bambine. Papa Francesco, con l’aiuto degli interpreti, ha ascoltato quello che ognuno aveva da dirgli. Ha accarezzato le bimbe, e a una ha messo le mani sul capo; ha anche stretto le mani che una delle due signore gli porgeva.

Durante l’incontro interreligioso nel giardino dell’arcivescovado di Dacca, hanno esplicitamente citato l’impegno di papa Francesco per i rohingya sia l’esponente musulmano che un rappresentante della società civile, mentre il vescovo anglicano che ha guidato la preghiera conclusiva ha rimarcato la sofferenza dei rohingya.

Non sono formalità: come le parole di ieri del presidente del Bangladesh, Abdul Hamid, mostrano come le forze sociali e religiose in questo pezzo di Asia insidiato dal fondamentalismo abbiano ben chiaro e apprezzino il ruolo di papa Bergoglio nella difesa delle minoranze, dei diritti di tutti, e il suo ruolo di pacificazione e di freno a quanti vorrebbero usare il nome di Dio per creare divisioni e per uccidere. Mostrano anche un ruolo di stimolo e di coscienza critica delle fedi e della società nei confronti delle istituzioni internazionali.

L’armonia delle religioni per la pace, contro povertà, terrorismi, corruzione e indifferenza verso i profughi è stato il motivo dominante dei discorsi di oggi di papa Francesco, – anche nell’incontro con l’episcopato del Paese – ed è uno degli scopi principali di questo suo viaggio in Myanmar e Bangladesh. Ma in tal senso sono state notevoli anche le parole del gran mufti imam Mawlana Farid Uddin Masud.

Notevoli per il contenuto, il riconoscimento del ruolo infaticabile del Papa nella pacificazione mondiale e nella difesa “degli oppressi, senza distinzione di religione, casta o nazionalità”. E davvero interessanti per il fatto che il gran mufti ha mostrato la determinazione della principale religione del Paese di non cedere a fondamentalismi e derive estremiste.

All’incontro interreligioso erano presenti anche esponenti induisti, buddisti, anglicani, e della società civile e della Caritas. Il Paese vuole restare multireligioso, multietnico e multiculturale e vede questa sua identità minacciata da fondamentalismi e estremismi. Non è un problema solo del Myanmar e del Bangladesh, ma di tutto il mondo. Non è un compito solo del Papa, ma di tutti le persone e i leader di buona volontà, che interroga la comunità internazionale e, proprio come i diritti dei rohingya, non consente indifferenza e non permette di girarsi dall’altra parte.

(dell’inviata Giovanna Chirri/ANSA)

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