Corsa ostacoli Di Maio, per l’incarico servirà un accordo

Nella foto Luigi Di Maio durante l'intervista #chiediloaluigi
Nella foto Luigi Di Maio durante l’intervista #chiediloaluigi

 

 

ROMA. – E se il “rally” di Luigi Di Maio fosse costretto a fermarsi ai piedi del Colle? Con il definirsi dell’election day il M5S stringe sulla campagna elettorale puntando al consenso più alto possibile e allarga il divario tra il “cambiamento pentastellato” e “l’inciucio Pd-FI”. A Di Maio, tuttavia, essere a capo del partito vincitore alle Politiche 2018 molto probabilmente non basterà. Per ottenere un incarico pieno dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella Di Maio, osservano fonti parlamentari, dovrà presentarsi al cospetto del capo dello Stato con un accordo politico in tasca che garantisca una maggioranza in Parlamento.

Il sogno, per il Movimento, resta superare quel 40-42% che garantirebbe la maggioranza assoluta senza alleati. Ma al momento si tratta di cifre lontanissime. E, a quel punto, sulla formazione del governo peserà la piena discrezionalità di Mattarella. Con una stella polare: ad ottenere l’incarico non è chi ha più voti ma chi, nelle consultazioni che si terranno al Colle, sarà in grado di dimostrare di avere una maggioranza con altri partiti.

E non si potrà “barare”: le consultazioni permettono al Capo dello Stato di incrociare, verificandole, le assicurazioni che arrivano da questo o quel partito. Mentre fonti parlamentari osservano come l’assioma pentastellato secondo cui il M5S – nel caso sia il primo partito ma senza maggioranza – si presenterà al Colle per l’incarico e verificare in Aula la fiducia sul suo programma, sia paragonabile “ad una barzelletta”.

A Di Maio, al limite, potrebbe essere dato un incarico esplorativo che, come la storia insegna, spesso è andato a vuoto. E sempre la storia ci dice che nel 1981 divenne presidente del Consiglio Giovanni Spadolini, a capo di un partito (il Pri) che alle elezioni di due anni prima aveva preso il 3%. Insomma, al di là della campagna elettorale e della idiosincrasia per le alleanze, per il M5S il problema di un intesa politica prima o poi potrebbe porsi.

E non è un caso che, negli ultimi giorni, Di Maio punti ad un voto che dia al Movimento una posizione di massima forza. “Votare Pd o Berlusconi è la stessa cosa, ma non avranno la maggioranza. Vogliono Gentiloni. Solo il MoVimento può dare un nuovo governo al Paese”, è il grido di battaglia del candidato premier.

L’imminente scioglimento delle Camere vede, inoltre, il M5S stringere sulle regole per le parlamentarie. Tra alternanza di genere e esponenti che, sul territorio, rischiano di essere più forti del previsto, tra i parlamentari cresce la preoccupazione di una mancata rielezione, soprattutto in zone come Puglia o Abruzzo dove latitano parlamentari donna.

Tra Natele e l’inizio di gennaio le regole dovrebbero essere forgiate: probabile che venga posto un “filtro di qualità” per non “imbarcare tutti” e non è escluso che, a chi vinca le parlamentarie in ciascun collegio sia concesso di scegliere quello dove poi correre senza obbligo del vincolo di residenza. Intanto, a congedarsi dall’Aula è Alessandro Di Battista. “Avete fallito, anche per molti di voi saranno gli ultimi giorni in Parlamento”, è l’ultimo j’accuse del “Dibba” che non si risparmia l’ormai familiare battibecco con la presidente Laura Boldrini.

(di Michele Esposito/ANSA)

 

 

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