Il debito sale a 2.256 miliardi nel 2017, +36,6 miliardi

ROMA. – Il debito italiano è cresciuto ancora nel 2017. In valore assoluto lo stock è aumentato di oltre 36 miliardi di euro, passando dai 2.219,5 miliardi di fine 2016 ai 2.256,1 miliardi del 31 dicembre 2017. Il dato è appunto assoluto e all’aumento in termini di miliardi potrebbe non corrispondere necessariamente un aumento anche del rapporto con il Pil, indicatore valido ai fini del rispetto dei parametri europei.

La crescita del Pil certificata dall’Istat solo 24 ore prima dei numeri arrivati da Bankitalia, potrebbe infatti, soprattutto se rivista il prossimo primo marzo, riservare qualche bella sorpresa, malgrado quei 36 miliardi in più che pure pesano. Ad esserne convinto è innanzitutto il ministero dell’Economia, che continua a prevedere una diminuzione del rapporto debito/Pil per l’anno appena passato e per i futuri.

La stessa sicurezza non è condivisa però da tutti, a partire dall’Ufficio parlamentare di bilancio, che nelle ultime annotazioni sulla situazione della finanza pubblica è tornato a lanciare il suo avvertimento sui rischi legati a quella che viene definita la principale debolezza italiana.

L’Italia è del resto il Paese con il debito più alto in Europa, dopo la Grecia, e la spesa per interessi più alta dopo il Portogallo, pari al 4% del prodotto interno lordo. Le entrate tributarie sono aumentate nell’anno del 2%, salendo a 447 miliardi, ma Renato Brunetta calcola che in tre anni il debito è aumentato complessivamente di 119 miliardi, decisamente “una brutta notizia” per i conti pubblici.

Dall’Ufficio di valutazione impatto del Senato arriva invece una fotografia del benessere degli italiani, che sarà misurato negli indicatori Bes nel prossimo Def. Secondo l’analisi, “scarsa libertà di fare scelte di vita” e “percezione della corruzione” sono le palle al piede che ostacolano la felicità degli italiani, alle prese sì con l’uscita dalla crisi economica, ma anche con un livello di insoddisfazione che non combacia con il ritmo della ripresa in atto.

Si tratta di fattori che – sottolinea il dossier – “potrebbero indicare un eccessivo grado di autoritarismo, formalismo, una scarsa trasparenza dei meccanismi di selezione, e una scarsa efficienza nell’allocazione del fattore lavoro”. Non a caso lo “scoraggiamento” nel cercare lavoro è proprio uno degli indicatori che mostra maggiori segnali di peggioramento negli ultimi anni.

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