Kim vuole rompere l’isolamento dopo anni di sanzioni

Pressing Cina e condizioni Paese lo hanno spinto al primo passo

PECHINO. – L’ultima stretta decisa a dicembre dalla Cina sull’interscambio con la Corea del Nord, tra frutti di mare e funghi, ha più di ogni altro colpito i piccoli commerci transfrontalieri lungo gli oltre 1.500 km di confine. Le sanzioni, in linea con le risoluzioni Onu, sono andate in profondità, aggiungendosi al bando del carbone, delle materie prime e al drastico taglio dell’export di petrolio e raffinati.

Le misure punitive per i test nucleari e missilistici entreranno a regime nel 2018 con il peggioramento netto delle condizioni di vita della popolazione, secondo le stime di diversi think tank di Seul, tra cui il Korea Development Institute, fino agli scenari drammatici di collasso ipotizzato nel 2019.

Il cambio improvviso del leader Kim Jong-un verso la Corea del Sud e il suo presidente Moon Jae-in, con l’apertura al dialogo nel discorso di Capodanno in nome delle Olimpiadi invernali di PyeongChang, può essere spiegato così e poggia su quattro fattori: la “massima pressione” che il presidente Usa Donald Trump ha promesso con sanzioni a tutto tondo per evitare gli errori del passato stanno funzionando; l’imprevedibilità del tycoon con i rischi di guerra militare e commerciale ha spinto la Cina a imporre sanzioni sul tradizionale alleato; la sostanziale e crescente irritazione verso Pechino, con l’accusa nordcoreana di inaffidabilità e collusione col “nemico”; infine, i 25 missili testati, inclusi gli intercontinentali per colpire gli Usa, e le tre detonazioni atomiche possono aver convinto Kim a trattare con Washington su basi paritarie alla ricerca della legittimazione globale.

Se i negoziati tra Pyongyang e la comunità internazionale sono pieni di ‘stop and go’, questa volta la corsa alle armi di Kim ha trovato una risposta corale. Moon ha chiesto di “congelare le attività nucleari” come passo verso la denuclearizzazione. Kim ha la disponibilità a farlo, ma fino a quando il dialogo diretto con gli Usa sarà attivo, mentre è convinzione diffusa che punti a essere trattato come il Pakistan, un “normale stato nucleare”.

Anche questa volta, capire la reale volontà di Kim è alquanto difficile: se è intenzionato a trattare sarebbe sufficiente tornare all’accordo del 2005 del tavolo a Sei (le due Coree, Usa, Cina, Russia e Giappone) sullo stop alle ambizioni atomiche in cambio di aiuti economici, della normalizzazione dei rapporti con gli Usa fino alla firma del trattato di pace. Pyongyang si sfilò nel 2007 respingendo la richiesta di trasparenza sui controlli degli ispettori dell’Aiea, l’agenzia atomica di Vienna.

Se lo scopo è uscire dall’isolamento, i benefici negoziali dovrebbero avere forte appeal. Non è escluso però che il ‘leader supremo’ stia bluffando, e punti semplicemente a guadagnare tempo per completare i piani di sviluppo militare. L’ex segretario alla Difesa Usa Ash Carter, ultimo custode della strategia della “pazienza strategica” con l’amministrazione di Barack Obama, ha valutato positivamente l’ipotesi del summit Trump-Kim e ha auspicato che gli Usa coinvolgano Cina, Corea del Sud e Giappone.

“Noi abbiamo il bastone, la Cina la carota e non possiamo trascurare gli alleati. Ogni passo deve ricordare al Nord che in caso di violazioni ci sono sanzioni”. La pressione deve “restare massima”, ha detto in un’intervista alla Cnbc. “La tregua olimpica è stata positiva, ma gli obiettivi sono altri”. Il messaggio è: con la denuclearizzazione tutto è possibile, senza denuclearizzazione precipiterebbe tutto.

(di Antonio Fatiguso/ANSA)

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