La guerra dei dazi affonda le borse, la Cina reagisce

La guerra dei dazi affonda le borse, la Cina reagisce

PECHINO. – I dazi Usa su acciaio e alluminio, più le nuove misure decise da Donald Trump per colpire l’import dalla Cina fino a 60 miliardi di dollari, affondano le Borse mondiali per i timori di una guerra commerciale su vasta scala, a maggior ragione dopo che Pechino ha preannunciato una reazione. Un primo piano di contromosse, ancora in fase di valutazione, da tre miliardi di dollari, pronto a colpire 128 prodotti a stelle e strisce.

La prevedibile scossa sui mercati, partita da Wall Street subito dopo l’annuncio della Casa Bianca, si è estesa come uno tsunami sui mercati asiatici con il tonfo di Tokyo che ha perso oltre il 4,5%, Shangai e Seul in calo di oltre il 3% e Hong Kong che ha chiuso a -2,45%. Un’onda che ha trascinato al ribasso anche i listini europei, con Parigi e Francoforte che hanno perso oltre l’1,5%, registrando il nervosismo degli indici che risentono positivamente dell’esenzione dell’Ue fino a maggio ma registrano la tensione per una trattativa dall’esito nient’affatto scontato tra Bruxelles e Washington nelle prossime settimane.

“Mi sembra impossibile coprire tutte le questioni Ue-Usa da qui all’1 maggio. Non mi sembra una data realistica”, ha avvertito il presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker al termine del Consiglio europeo.

Il ministero del Commercio cinese, auspicando passi indietro di Trump per evitare danni “seri” ai rapporti bilaterali e all’interscambio globale, ha spiegato che le misure all’import di prodotti Usa – in risposta alla stretta su acciaio e alluminio – potrebbero essere adottate, in mancanza di un accordo, in due tranche, preannunciando l’ipotesi di azioni in linea con le norme del Wto, l’Organizzazione mondiale del commercio. Al quale pensa di ricorrere anche Mosca.

Pechino “sollecita così gli Usa a risolvere i timori cinesi il prima possibile”, recita una nota postata sul sito del ministero che non fissa scadenze, ma chiede il dialogo. Tra i beni nel mirino carne di maiale, frutta, tubi di acciaio, scarti in alluminio, vino ed etanolo per 3 miliardi di dollari ai valori del 2017. I prodotti scelti sono divisi in due gruppi di cui uno a dazi del 10%, come per quelli Usa sull’import di alluminio, e un secondo destinato all’aliquota al 25%, come per le misure americane sull’acciaio.

L’approccio di Pechino appare al momento conciliante. Ma in gioco, con un inasprimento della tensione, l’attenzione finirebbe sui settori chiave come quello agricolo e delle auto: nel 2017 gli Usa hanno spedito il 60% della soia prodotta verso la Cina per 14,6 miliardi di dollari e auto e componenti per 14,2 miliardi. Colossi della Corporate America come Caterpillar e Boeing hanno ricavi legati al Dragone rispettivamente del 9 e dell’11%.

La vera arma nucleare però, secondo gli analisti, più che la vendita dei bond del Tesoro Usa – evocata in un’intervista a Bloomberg dall’ambasciatore cinese a Washington – potrebbe essere in ultima ratio la svalutazione dello yuan. Mossa che rischierebbe al contempo di essere un boomerang per la stesa economia cinese.

Pechino ha riportato nel 2017 un surplus commerciale record di 275,8 miliardi verso gli Usa, pari al 65% dell’attivo globale, mentre nei dati del Census Bureau risulta addirittura di 375,2 miliardi. Trump ha accusato il Dragone di pratiche scorrette e di furto di proprietà intellettuale e tecnologia. Nell’auto, ad esempio, l’omologazione dei veicoli comporta il deposito delle caratteristiche tecniche dettagliate di motori e altro.

Il presidente Xi Jinping, appena consolidatosi per un secondo mandato al vertice dello Stato, punta alla stabilità economica per la costruzione di “una società moderatamente prospera” con una vita “confortevole” diffusa. Il vicepresidente Wang Qishan, tornato in servizio dal pensionamento dal Pcc di ottobre, fa parte del team economico col vice premier Liu He. I due avranno incontri informali con controparti Usa al China Development Forum dedicato alla “Cina nella nuova era”, a Pechino fino a lunedì. Un’occasione per provare a disinnescare la guerra commerciale.

(di Antonio Fatiguso/ANSA)

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