Martina corre come segretario. Al Colle: “Minoranza sì, Aventino no”

La sede del Pd in piazza del Nazareno, Roma
La sede del Pd in piazza del Nazareno, Roma

ROMA. – Maurizio Martina si candida alla segreteria del Partito democratico. Lo fa alla vigilia delle consultazioni al Quirinale e in vista dell’assemblea, convocata il 21 aprile, che sancirà ufficialmente l’addio di Renzi. Al Colle il reggente Dem con Graziano Delrio, Andrea Marcucci e Matteo Orfini terrà ferma la linea del Pd all’opposizione, ma “non sull’Aventino”. E in assemblea proverà a chiudere le settimane del travaglio post-sconfitta per provare a “rilanciare”.

Ma la pace interna è ancora lontana. E Matteo Renzi, che nelle ore delle consultazioni sarà a Roma, tiene alta la guardia, perché la disponibilità di Martina ad “ascoltare le indicazioni di Mattarella” non diventi un varco per un governo col M5s. Walter Veltroni smentisce che sia in preparazione un “appello” di intellettuali per chiedere al Pd di fare il governo.

Ma i renziani non si fidano. E, sebbene non escludano di convergere su Martina, lavorano a un candidato segretario alternativo: il nome è Lorenzo Guerini, che però sembra restio. A preoccupare Veltroni è che qualcuno decida di “andare oltre il Pd”.

Il progetto di un nuovo partito è da tempo attribuito a Renzi, che smentisce, e un’intervista di Sandro Gozi, in cui parla espressamente di “andare oltre il Pd” guardando a Macron, sembra confermarlo. Ma Martina nel lanciare la propria candidatura alla segreteria, che avrebbe già il sostegno di Franceschini e potrebbe raccogliere quello di Orlando, sottolinea che non si deve “andare oltre” ma “rilanciare”. E prova a bruciare sul tempo gli altri aspiranti segretari, a partire da Matteo Richetti che sabato potrebbe lanciare la propria candidatura chiedendo primarie a ottobre.

L’altro nodo sono i tempi del congresso, se nel 2019 o nel 2021 come da Statuto, ma di questo si discuterà nelle prossime settimane, quando il reggente proverà a costruire la convergenza di tutti sul proprio nome. Intanto, continua sotto traccia la discussione anche sul governo.

In prima battuta, nel colloquio con Mattarella, la delegazione Dem (che si riunirà prima di salire al Colle) terrà la linea dell’opposizione, spiegando di voler essere minoranza propositiva, che dà battaglia sui singoli temi in Parlamento. A compattare le varie anime del partito su questa linea, paradossalmente, è il veto che Luigi Di Maio ha posto su Renzi, dichiarando come suoi interlocutori Martina, Franceschini e Minniti.

La convinzione diffusa è che il leader M5s usi il Pd per alzare il prezzo della trattativa con la Lega e dare la colpa al no dei Dem, se accetterà un accordo che includa Forza Italia. Tutt’altra partita si aprirebbe se invece il tavolo tra M5s e centrodestra saltasse. A quel punto nel Pd tornerebbe la divisione del partito in due, tra i “governisti” convinti che a certe condizioni si possa trattare con i Cinque stelle, che hanno un elettorato in parte di centrosinistra e i renziani persuasi che no, quella strada è preclusa. Non è tema dell’oggi, ma intanto gli uomini vicini all’ex segretario tengono alta la guardia.

(di Serenella Mattera/ANSA)

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