Trump attacca Mueller sul Russiagate. Ryan lascia

Un primo piano del procuratore generale Robert Mueller durante il giuramento.
Il procuratore generale Robert Mueller

WASHINGTON. – Trump resta in trincea a Washington per affrontare un’altra guerra, per lui forse più importante di quella siriana: quella di un Russiagate sempre più tentacolare e di un partito che rischia di perdere la maggioranza del Congresso nelle elezioni di Midterm dopo che anche lo speaker Paul Ryan, spesso in contrasto col presidente, ha annunciato il suo ritiro aggiungendosi ad una pattuglia di trenta deputati repubblicani.

Per questo dalla sua rampa di lancio di Twitter ha puntato ‘missili’ direttamente contro il procuratore speciale Robert Mueller e il numero due del ministero della Giustizia Rod Rosenstein, da cui dipende: “Molto del cattivo sangue con la Russia è causato dall’indagine falsa e corrotta sulla Russia, guidata da lealisti tutti democratici, o da persone che hanno lavorato per Obama. Mueller è quello con i maggiori conflitti di interesse, tranne Rosenstein, che ha firmato la Fisa (la richiesta di intercettare un consigliere della campagna di Trump, ndr) e la lettera di Comey”, l’ex capo dell’Fbi che ora rischia di rinfocolare le polemiche per aver paragonato il tycoon ad un “boss mafioso” in un’intervista alla Abc.

Trump ritiene che Mueller sia andato “troppo oltre”, come ha ammonito la Casa Bianca, e lo scorso dicembre voleva licenziarlo, come ha rivelato il Nyt: colpa delle notizie su una nuova serie di mandati per ottenere informazioni sui suoi rapporti con la Deutsche Bank, rivelatesi poi imprecise tanto da fargli fare retromarcia.

Crescono intanto i timori al Congresso, dove un gruppo bipartisan di 4 senatori ha presentato una legge per proteggere Mueller. Il presidente sembra però aver messo prima nel mirino Rosenstein che, su segnalazione di Mueller, ha avallato anche la richiesta della procura federale di New York di perquisire gli uffici dell’avvocato personale di Trump, Michael Cohen, custode di tutti i suoi segreti, compresi i pagamenti ad una pornostar e ad una coniglietta di Playboy per comprare il loro silenzio prima delle presidenziali.

Sostituendo lui, potrebbe nominare una persona che controllerebbe anche Mueller. Il nuovo fronte della guerra casalinga di Trump è stato aperto da Ryan, 48 anni, di cui 20 alla Camera, che ha guidato dall’ottobre 2015 ricompattandolo il Grand Old Party. Oggi ha annunciato che non si ricandiderà alle elezioni di midterm di novembre.

Motivo principale: poter stare di più con i tre figli per non essere ricordato come un “papà del fine settimana”. Ma i ben informati raccontano la sua frustrazione con Trump, da cui ha preso le distanze più volte, e il suo probabile tentativo di scendere dalla nave prima che affondi, giocando magari le sue carte in una futura corsa presidenziale.

La sua uscita rischia di incoraggiare altri ritiri in vista di elezioni che i sondaggi danno sempre più in salita per i repubblicani e di aprire lotte interne per la sua successione. In pole position ci sono il leader della maggioranza Kevin McCarthy e il numero tre alla Camera, l’italo-americano Steve Scalise, il deputato ferito da colpi di arma da fuoco mentre giocava a baseball con i suoi colleghi.

(di Claudio Salvalaggio/ANSA)

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