Martina in pressing sul Pd ma Salvini si appella al M5s

Il segretario reggente del Pd, Maurizio Martina, con il presidente Matteo Orfini (D) e i capigruppo Andrea Marcucci (S) e Graziano Delrio (2-D), al termine dell'incontro con il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al Quirinale. ANSA/ETTORE FERRARI

ROMA. – Andare a “vedere le carte”. E’ l’appello che il reggente del Pd, Maurizio Martina, lancia al suo partito nel giorno in cui Matteo Salvini si riprende la scena in vista del voto in Friuli Venezia Giulia, che lo vede favorito nelle urne. Il leader della Lega rilancia sulla centralità del centrodestra unito come unica opzione per il governo e recita il suo de profundis sul tentativo di accordo tra dem e pentastellati .

“Le percentuali di un governo tra Pd e Cinquestelle sono pari a zero: è un accordo contro natura e soprattutto una presa in giro agli italiani” scommette il leader della Lega che torna a intonare il suo canto delle sirene in direzione dei pentastellati: “Spero che Di Maio faccia un bagno di umiltà e torni a sedersi al tavolo del centrodestra”. Ma se in pochi sono pronti ad azzardare la riuscita di un’intesa M5s-Pd, oggi la distanza politica da quella che viene offerta dal Movimento come l’estrema opzione prima del voto, si misura tutta in previsioni statistiche.

Se Salvini dovesse “scommettere un euro” assicura che lo farebbe “su un governo che rispetti il voto del 4 marzo: quindi con centrodestra e M5s”. Il reggente dem, Maurizio Martina, di previsioni non ne vuole invece fare: la “strada” di un confronto con M5s, ammette, “è difficile e potrebbe anche non portare a una intesa”. Tuttavia “personalmente ritengo che sia nostro dovere farlo, rilanciando la sfida. Andando a vedere il merito di una possibile agenda d’impegni. Non farlo rischia in qualche modo di contribuire all’involuzione del nostro Paese anche sullo scenario europeo” è il suo avvertimento.

Sembra un richiamo al partito a non chiamarsi fuori dalla responsabilità di affidare il Paese ad un asse sovranista dopo i dubbi espressi da Mario Draghi sul rallentamento della crescita nel vecchio continente. Azzarda invece un’ipotesi Emanuele Fiano, vicino al dialogante Franceschini ma anche al riluttante Renzi: “Sono pessimista e allo stato dell’arte sono anche contrario”, premette, ma se gli si chiede la percentuale di riuscita non va oltre il “dieci per cento”. D’altra parte se la minoranza dem che si riconosce nel governatore Michele Emiliano tifa per un accordo, i renziani sono ancora molto scettici.

Il vicepresidente Pd della Camera, Ettore Rosato è netto: “non possiamo fare un governo con chi pensa che si debbano smontare le riforme fatte in cinque anni”. Le condizioni per il dialogo sono quindi precise: nessuna abiura della stagione riformista del centrosinistra e stop al forno tra M5s e Lega che è “solo formalmente” chiuso.

Il corteggiamento di Salvini a Di Maio sembra confermarlo, anche se il leader M5s – che rivendica la premiership – con tutto il Movimento non cede alla tentazione e mantiene salda la sua promessa: “dopo 50 giorni il forno della Lega è chiuso, noi abbiamo una dignità” ha ripetuto nella notte ai gruppi parlamentari 5 Stelle riuniti in assemblea. Non gli crede il presidente del Pd, Matteo Orfini: “la sua parola è inaffidabile”.

Ed anche Salvini insiste e con ciò continua a tirare la corda anche dentro il centrodestra. “Non lascerò Berlusconi, ho fatto un patto con gli italiani” ripete per rassicurare il Cavaliere ma per il resto le strategie di avvicinamento al governo tra i due prendono direzioni diverse.

“Non si può andare con il M5S” ripete Silvio Berlusconi che assicura: “In Europa c’è molta preoccupazione e ci si augura che ci sia un argine al movimento populista italiano”. Quindi fa anche lui la sua scommessa: “secondo me succede che il centrodestra torna in Parlamento con un proprio governo per ottenere anche altri voti oltre ai suoi e magari” arrivare alla fiducia “attraverso delle astensioni”.

Non proprio la strada immaginata da Salvini che avverte: o governo di centrodestra con un accordo o non c’è governo, e si torna a votare. “Lo dico a qualcuno che è arrivato secondo e vuole dettare le regole e lo dico sottovoce anche a chi pensa di ragionare con Renzi e con il Pd”. E per il voto azzarda una proposta choc: “se non c’è accordo tra i ‘primi’ e i ‘secondi’ si torna alle urne entro l’estate”.

(di Francesca Chiri/ANSA)

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