Pd: salta l’intesa, Assemblea vota. No di Renzi a Martina

Maurizio Martina, Graziano Delrio e Andrea Marcucci, durante una conferenza stampa nella sede del Pd.
Maurizio Martina, Graziano Delrio e Andrea Marcucci, durante una conferenza stampa nella sede del Pd. ANSA/ALESSANDRO DI MEO

ROMA. – Si va verso una prova di forza, e una conta di rottura, all’assemblea nazionale del Pd. Le trattative tra le varie correnti Dem si protrarranno sino all’inizio delle Assise ma sembra che non si sia trovato un punto di intesa tra l’area di Matteo Renzi e le altri componenti che sono intenzionate a chiedere di votare Maurizio Martina come segretario, con i renziani che invece frenano. Condivisa da tutti è invece l’idea di tenere il congresso entro l’anno, mentre c’è attesa per l’annunciato discorso dell’ex premier Renzi che era disposto a non intervenire nel caso in cui si fosse evitata l’elezione del segretario.

L’ordine del giorno dell’Assemblea prevede al primo punto proprio l’intervento del segretario dimissionario, che dovrebbe motivare la propria decisione. Il discorso varierà di tono a secondo di come le varie anime Dem si accorderanno sul secondo punto all’ordine del giorno, vale a dire “adempimenti statutari”. Lo Statuto, infatti, in caso di dimissioni del segretario prevede o l’immediata convocazione del congresso, che partirebbe subito per concludersi con le primarie a settembre-ottobre, oppure l’elezione di un nuovo segretario.

Il reggente Maurizio Martina ha annunciato mercoledì la propria candidatura con l’impegno però di indire il congresso in autunno, così da concluderlo entro l’anno, come chiedono tutte le correnti Dem. L’elezione darebbe a Martina l’autorevolezza di un segretario eletto in caso di ulteriore proseguimento della crisi di governo e in tutte le altre interlocuzioni istituzionali.

Ed è per questo che le componenti che fanno capo a Dario Franceschini, Andrea Orlando, Michele Emiliano ed anche autorevoli dirigenti come Nicola Zingaretti o Goffredo Bettini hanno appoggiato la candidatura di Martina e domani vogliono un voto. Il reggente, tuttavia, ha visto incrinati i propri rapporti con Renzi, che preferirebbe non dare l’investitura al suo vicesegretario.

La mediazione proposta da Lorenzo Guerini è che non ci sia un voto, e che quindi la reggenza di Martina prosegua in automatico. Renzi potrebbe anche non parlare, lasciando spazio alla relazione di Martina e al successivo dibattito sulla situazione politica, con l’arrivo del governo M5s-Lega. L’obiezione è che tale scelta indebolirebbe Martina nel suo ruolo di rappresentanza di tutto il Pd.

Ma c’è anche un altro motivo per cui, specie Franceschini, insiste nel voto: alla luce della sconfitta elettorale e delle dimissioni di Renzi, il ministro è convinto che in assemblea gli equilibri sono cambiari e l’area di Renzi non ha più il 70% del Partito, ma al massimo superera di poco la maggioranza.

Per tutta la giornata tutte le correnti si sono riunite e nel tardo pomeriggio un incontro tra gli sherpa dell’area Renzi e quelli delle altre componenti ha certificato l’assenza di una intesa che, se non verrà raggiunta in zona Cesarini, si tradurrà in un voto in Assemblea. In atto anche una guerra a colpi di regolamento: Renzi dopo il suo intervento potrebbe proporre un ordine del giorno con cui indire il congresso, che se approvato subito impedirebbe la presentazione della candidatura di Martina.

Al momento è esclusa la presentazione di un candidato alternativo, come Lorenzo Guerini. In nottata verrà valutata la proposta finale dell’area Martina per ritrovare l’unità: un ordine del giorno che confermi il mandato al reggente per indire il congresso entro l’anno. O il voto sulla relazione stessa del reggente.

(di Giovanni Innamorati/ANSA)

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