L’impresa di Alexandria, erede di Sanders che trionfa a New York

Il poster di Alexandria Ocasio-Cortez durante la campagna elettorale.
Il poster di Alexandria Ocasio-Cortez durante la campagna elettorale.

WASHINGTON. – Il messaggio forte e chiaro arriva da New York e scuote il partito democratico americano: Alexandria Ocasio-Cortez, 28 anni, attivista progressista sostenitrice di Bernie Sanders, spodesta nelle primarie per un seggio alla Camera Joe Crowley, deputato dal 1999. Crowley è colui a cui il partito guardava come successore naturale, nel ruolo di speaker, di un’altra ‘veterana’, Nancy Pelosi, nel caso i democratici riescano a riconquistare la maggioranza alla Camera dei Rappresentanti nelle elezioni di midterm a novembre.

Uno shock, perché di martedì in martedì, questa tornata elettorale di primarie sta delineando (o confermando) uno scenario politico nuovo in vista del voto in autunno: il primo vero test delle urne dopo il terremoto del 2016. Si tratta ancora di ‘sentimenti misti’, scelte spesso radicate nel territorio.

Come nel caso di Chelsea Manning (la ‘talpa’ del Datagate condannata per aver trasmesso documenti governativi sensibili a Wikileaks), il cui sogno politico si è infranto in Maryland, nella sfida al senatore democratico Ben Cardin, popolare e con un forte sostegno finanziario locale, che correrà quindi per il suo terzo mandato.

Ma è la cavalcata di Alexandria che l’establishment dem proprio non si aspettava: al suo esordio da candidata, proveniente dal lavoro come organizzatrice nelle comunità locali nel Bronx, ha collaborato alla campagna di Sanders per le presidenziali. E’ stata eletta in una circoscrizione che include parti di Bronx e Queens con oltre il 57% dei voti e una campagna da circa 300mila dollari (Crowley ne aveva raccolti 3,3 milioni).

Si conferma quindi la tendenza della ‘marcia delle donne’ fra le candidate, mentre fino a ora era stato l’establishment a farla da padrone, al punto da far chiedere che fine avesse fatto quell’energia progressista scatenata da Bernie Sanders nel 2016. Riemerge qui, e chiama alla riflessione, il partito a Washington.

Proprio mentre tornano a circolare voci che Michael Bloomberg stia meditando una corsa per le presidenziali, ma questa volta da democratico. Lo riferisce il New York Post, mentre l’ex sindaco di New York ha detto di voler intanto contribuire con 80 milioni di dollari alla campagna dem per il voto di metà mandato.

La prospettiva intanto è quella del possibile scontro a novembre, mentre nelle primarie repubblicane finora a trainare è ‘l’effetto Trump’: anche in questo ‘mini super Tuesday’ hanno prevalso gli uomini di Donald Trump. In South Carolina il governatore Henry McMaster ha vinto le primarie repubblicane per la rielezione, dopo che Trump era sceso in campo a suo favore sia in un comizio elettorale sia con un tweet in cui incoraggiava a votarlo.

Anche a New York fra i repubblicani prevale il deputato Dan Donovan, sostenuto dal presidente. Mentre l’ormai ex critico di Trump, Mitt Romney, riparte dallo Utah, dove ha vinto le primarie del Grand Old Party per un seggio al Senato. Romney era stato molto esplicito nelle sue critiche contro Donald Trump durante la campagna nel 2016. Ma da allora i due sembrano essersi assestati su toni più pacati e conciliatori e Romney ha anche accettato l’endorsement del presidente.

(di Anna Lisa Rapanà/ANSA)