Dieselgate, dal 2000 è costato 150 miliardi a chi guida

Primo piano di un tubo di scappamento di un'auto
Gap in Ue fra consumi reali e dichiarati

ROMA. – Lo scandalo Dieselgate pesa sull’ambiente e sulla salute pubblica, ma anche sul portafoglio. Quello degli automobilisti europei che, dal 2000 al 2017, hanno messo 150 miliardi di euro in più di carburante rispetto a quanto avrebbero fatto se i consumi delle auto fossero stati in linea con quelli dichiarati.

A fare i conti è la ong Transport & Environment, secondo cui in quei diciott’anni i tubi di scappamento hanno emesso più di quanto certificato dai test di laboratorio: 264 milioni di tonnellate di CO2 in più, pari alle emissioni annuali dell’Olanda intera.

Alla pompa il prezzo maggiore lo hanno pagato gli automobilisti tedeschi, che dal 2000 hanno sborsato 36 miliardi più di quanto avrebbero dovuto. Seguono gli inglesi con 24,1 miliardi e i francesi con 20,5 miliardi. L’Italia è quarta con 16,4 miliardi di euro, davanti alla Spagna (12 miliardi).

Stando all’indagine, la distanza tra i consumi registrati dai test e quelli nel mondo reale è andata peggiorando. La forbice si è aperta a dismisura, passando dal 9% del 2000 al 17% del 2008, fino al 42% del 2017. Solo l’anno scorso la spesa aggiuntiva in carburante è stata di 23,4 miliardi di euro (2,2 in Italia), con emissioni in eccesso per 47 milioni di tonnellate.

Quel che esce dai tubi di scarico ha un impatto ambientale, ma anche sanitario. Secondo uno studio pubblicato nel settembre scorso sulla rivista Environmental Research Letters, ogni anno sono circa 450mila i decessi attribuibili in Europa all’inquinamento dell’aria, e sarebbero 4.500 quelli in più causati dal surplus di emissioni rispetto a quanto dichiarato. L’Italia, con 1.250 morti, risulta essere più colpita.

“Le dichiarazioni dei costruttori sugli enormi progressi nei consumi di carburante sono un imbroglio”, accusa Greg Archer della ong. “Nonostante le normative per ridurre le emissioni, non c’è stato alcun miglioramento reale delle emissioni di CO2 per cinque anni, e solo un miglioramento del 10% dal 2000”.

E in futuro potrebbe non esserci la svolta attesa. Se è vero che dal mese prossimo entreranno in vigore test più rigorosi, poche settimane fa il Centro comune di ricerca della Commissione Ue ha sostenuto che le case automobilistiche avrebbero trovato un nuovo modo di barare: aumenterebbero le emissioni reali in modo che nel 2020, quando si stabiliranno i nuovi target basati su quei valori, gli obiettivi saranno meno ambiziosi.

“Il Parlamento europeo e i ministri Ue dell’Ambiente devono agire ora – esorta Archer – per impedire che l’industria automobilistica imbrogli ancora”.

(di Laura Giannoni/ANSA)

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