Matteo Salvini, la Lega e 49 milioni di problemi

Nella foto l'ex Segretario della Lega, Umberto Bossi (a sinistra) e l'ex tesoriere della Lega, Belsito (a destra).
Nella foto l'ex Segretario della Lega, Umberto Bossi (a sinistra) e l'ex tesoriere della Lega, Belsito (a destra). Entrambi sono stati condannati per la vicenda dei rimborsi elettorali sottratti al partito. FOTO ANSA

Da un paio di mesi a questa parte, l’argomento cloucon cui l’opposizione, i media e i giornali si scagliano contro il Ministro dell’InternoMatteo Salvini, è sicuramente la vicenda dei presunti 49 milioni di euro “rubati” alla Lega.

Nonostante la vicenda sia intricata e di difficile comprensione, i “giudici da monitor” e la maggior parte dei giornali e dei media hanno ben pensato di creare dei tormentoni che hanno tediato l’opinione pubblica sul comprendere davvero la vicenda. Le domande sono molte, poiché ci troviamo davanti ad un furto, a detta degli investigatori e cani da tartufo circolanti sul web, ma la vicenda è molto più complicata di quanto sembri e inoltre, ha dei precedenti illustri.

Ma, partiamo, come di consueto, dall’inizio. Innanzitutto, questa cifra, uscita sui giornali ma non da una quantificazione eseguita dai magistrati competenti, è giusta? No, non sono 49 milioni di euro, ma una cifra compresa tra gli 1 e i 3 milioni di euro. Le false fatture c’entrano qualcosa? No, nemmeno. Ed è giusto che il Carroccio subisca un pignoramento di tutte le sue entrate passate, presenti e future? Beh, questa è una questione opinabile, su cui ognuno è libero di pensarla come vuole, ma visti i precedenti illustri, non della Lega, di cui vi parlerò, la mia risposta alla domanda suddetta è no.

Personalmente, sono convinto che questo sequestro non sia giusto, poiché potrebbe produrre delle conseguenze enormi non solo per il partito interessato, ma per tutto il sistema democratico. Quest’articolo non è una difesa ad oltranza per il leader del Carroccio o per il Governo Conte, ma un’opera di chiarimento attorno ad una vicenda che sta prendendo delle sembianze grottesche, ridicole. Infatti, non si tratta di invocare giustizia, ma di fare il tifo pro o contro il partito di Governo. Sui social tutti si ergono a giudici e magistrati soltanto per il gusto di vedere il Governo cadere, e di conseguenza gioiscono per la sentenza della Corte di Cassazione che potrebbe davvero porre la parola fine ad un partito, quel partito nato negli anni di Tangentopoli. Tifare per il sequestro perché non si condividono le idee della Lega, è un pessimo manifesto per la dialettica democratica e un esempio lampante di “doppiopesismo” tutto italiano.

In riferimento all’esito della sentenza, le domande da porci sono semplicemente due:

  1.  La Lega potrà continuare a fare politica, dopo il sequestro?
  2.  La Lega ha rubato davvero i “49 milioni”?

Partiamo dalla prima domanda. La Lega potrà continuare a fare attività politica, tenendo conto che dovrà versare ogni minimo contributo presente e futuro nelle “casse dello Stato”, a causa della sentenza della Cassazione e della proposta degli avvocati della difesa? Ovviamente no, visto che le manovre di Monti e di Letta hanno eliminato definitivamente il finanziamento pubblico con fini politici. L’unica soluzione è quella di creare un nuovo partito (“La Lega per Salvini”), con una nuova ragione sociale, e sperare che i magistrati non sequestrino le risorse, oppure è la fine.

Chiedere alla Lega di restituire i 49 milioni, che effettivamente non ha, significa bloccare la sua attività politica. Se fosse costretto a pagare, il partito non avrebbe i soldi nemmeno per stampare un manifesto. Ecco perché questa non è la soluzione, almeno in uno stato democratico come il nostro, problema che dovrebbe porsi anche il Presidente della Repubblica, Mattarella.

Veniamo al precedente illustre. Quest’ultimo, che vuole essere soltanto un esempio e non un pretesto per attaccare, riguarda il Partito Democratico. Qualcosa di simile è accaduto alla Margherita qualche anno fa ma la reazione dei magistrati è stata opposta a quella suscitata dalla “vicenda Lega”. Lascio il beneficio del dubbio ad eventuali manifestazioni che si sarebbero verificate se la magistratura avesse revocato i finanziamenti al partito. E aggiungo che qualora fosse accaduto ciò, le manifestazioni sarebbero state giuste. Però niente del genere è accaduto e allora dobbiamo sorbirci Renzi e i suoi cloni con il tormentone “La Lega restituisca i soldi che ha rubato”, ignorando i precedenti all’interno del suo partito.

Ma, per onestà intellettuale, risulta obbligatorio un paragone tra i due casi.

Entrambe le formazioni politiche sono state truffate dal proprio tesoriere, Luigi Lusi da un lato e Belsito dall’altro. Il primo, ex senatore del PD, in 11 anni di “attività”, ha sottratto ben 27 milioni di euro dai conti del suo partito. In questo caso però, la sentenza ha considerato il Partito Democratico “parte lesa”, mentre nel caso della Lega “complice”.

C’è una bella differenza, e infatti il sequestro diventa punitivo, mentre nel caso Lusi i magistrati imposero la restituzione dei beni sequestrati al partito che poi furono devoluti dallo stesso Rutelli al Ministero dell’Economia.

Il secondo quesito invece riguarda il presunto “furto” dei 49 milioni di euro. Sentenza alla mano, la Lega deve restituire la cifra sottratta, all’erario. Ma il furto riguarda davvero quella cifra?

Leggendo i sommari resoconti dei giornali, l’opinione pubblica si è convinta che per i giudici di Genova, secondo la Cassazione e il Tribunale del Riesame, la Lega ha effettivamente “rubato”49 milioni di euro, producendo false pezze d’appoggio. Ciò è sbagliato, per il semplice fatto che da quando è stato abolito il finanziamento  ai partiti, i fondi venivano assegnati in base ai voti ricevuti alle elezioni. Dopo la tornata elettorale, la cifra risultante veniva rateizzata per l’intera legislatura (5 anni).

Senza contare che, Bossi Belsito sono stati condannati per aver sottratto dei soldi che la procura (pare incredibile ma è così) non è riuscita a quantificare con esattezza (nelle sentenze si stima una cifra tra uno e tre milioni di euro, ma è solo un’ipotesi perché non tutti i movimenti sono stati ricostruiti). Dunque, 49 milioni di euro non è il totale dei soldi sottratti, ma il totale dei rimborsi percepiti negli anni per le elezioni politiche e regionali. I magistrati in quella cifra comprendono, quindi, i soldi lecitamente percepiti tramite rimborso elettorale e quelli sottratti da Belsito.

Anche qui c’è una sostanziale differenza, è come se sparissero 3 milioni di euro ma una sentenza stabilisce che ne devi restituire 49. Qualcosa non torna. La linea tenuta dai magistrati, risulterebbe essere la seguente: i fondi devono essere interamente revocati in caso di irregolarità di bilancio.

Allora sorge spontaneo domandarsi come mai questa linea così dura non sia stata “tenuta” nei confronti di Lusi, tenendo presente, inoltre, che i fondi sottratti sono stati restituiti alla Margherita.

Altre fonti, invece, sottolineano come questi 49 milioni non siano mai esistiti. Spulciando i bilanci della Lega, Franco Bechis, ex vicedirettore di Libero, in un suo articolo sostiene che quella cifra sia stata inventata. Infatti, ha riportato con minuzia i bilanci dal 2007 al 2017 e ha sottolineato come a bilancio non ci siano mai state cifre del genere. Qui intervengono i brogli e le fatture truccate, ma tutti sappiamo che l’unica truffa possibile era quella dei voti, purtroppo però quest’ultimi vengono confermati dalle Corti d’Appello e non dai partiti, a fine elezioni.

Ulteriore quesito da porsi potrebbe essere quello della mancata costituzione della Lega “parte civile” all’interno del processo. Quest’ultima è stata usata come “giustificazione” dalle opposizioni per questo trattamento così diverso.

Intanto, va chiarito che durante il primo processo la Lega si costituì parte lesa contro Bossi e Belsito. Poi, quando il procedimento penale imboccò binari diversi, ha smesso di farlo. Ora, non credo che basti questa scelta del partito per emettere un giudizio così severo. Le scelte percorribili sono soltanto due: o si accusano Salvini e i nuovi tesorieri e li si persegue per un reato associativo definito come quello di complicità, oppure bisogna ammettere che non ci può essere nessuna relazione tra il giudizio e la mancata costituzione parte civile.

Come si può facilmente intuire, questa scelta può essere considerata come l’inizio di una collisione tra la nuova Lega targata Matteo Salvini e quella di Bossi. E questo passaggio non esclude il chiedere un risarcimento del danno. Ma, cosa più importante è che se guardassimo la vicenda da un punto di vista diverso da quello dei giornalisti e dei media schierati, ne verrebbe fuori un interessante sviluppo. Salvini non si è costituito contro Bossi, non per una qualsivoglia amicizia/stima tra i due, ma per il semplice fatto che in quel momento i due erano avversari politici all’interno del Congresso della Lega e un eventuale intervento giudiziario avrebbe trasformato Bossi in vittima e sappiamo bene cosa significa questo (l’abbiamo visto con il caso Diciotti che in pratica ha trasformato l’attuale Ministro in “martire della magistratura”). Intelligentemente, invece, l’attuale Segretario della Lega ha scelto una strada diversa, quella del confronto politico, stracciando il suo rivale e prendendosi il partito.

Ecco perché la Sentenza assume un contorno importante, non solo per la Lega. Un caso che sottolinea la povertànon solo politica per questa volta, degli attuali partiti italiani, liquefatti in quest’epoca di personalismi e presidenzialismi. I bilanci dei partiti italiani sono in rosso, a partire da quello del PD, dove i dipendenti sono in cassa integrazione a causa della gestione Renzi; Forza Italia, non se la passa meglio. Insomma, le macchine di partito non esistono più, poiché non sono in grado di fare “le macchine” a causa della loro cronica povertà. Una povertà conseguenza della crisi economica, degli strascichi di Tangentopoli con annessi fantasmi; una povertà di valori che si è unita in simbiosi con l’ingordigia degli uomini politici che non sono stati in grado di standardizzare la macchina di partito ai tempi che corrono.

Il caso dei 49 milioni di euro sottratti alla Lega, potrebbe costituire il pretesto per tornare a parlare di una legge organica che possa dare una definizione di“partito politico”, poiché nella Costituzione si è preferito mettere sullo stesso piano “associazione democratica” “partito politico” per non incorrere negli stessi orrori del Fascismo (partiti messi fuorilegge). Inoltre, la mancanza di una definizione di partito è direttamente collegata alla volontà di non rendere pubblico ciò che succedeva all’interno dello stesso e le vicende degli anni 1992-’93 con le dichiarazioni di Bettino Craxi (“i partiti prendono finanziamenti esterni dal 1945”), mai smentite, fanno facilmente comprendere il perché non si volesse rendere pubblica la loro attività interna. Le leggi sui finanziamenti che si son succedute tra gli anni ’70 e ’90, inoltre, hanno sottolineato la fragilità delle formazioni politiche italiane che, incapaci di provvedere autonomamente alla propria sopravvivenza, si son liquefatte alla sola idea di dover rinunciare ai fondi pubblici. Tutto ciò fino ad arrivare alle truffe perpetrate ai danni dello Stato compiute da TUTTI i partiti tra il 2006 e il 2008 (Governo Prodi caduto e Governo Berlusconi), dove, con la legge che distribuiva i fondi a seconda delle legislature (e non della durata delle stesse), i partiti si son accaparrati più di quanto effettivamente gli spettava.

Al giorno d’oggi, grazie al “lavoro” di Mario Monti e di Enrico Letta, il finanziamento pubblico non esiste più (l’ultimo partito a percepirlo è stato il PD nel 2017), ma i problemi ci sono, continuano ad esserci e ci saranno se non verranno presi dei provvedimenti. Non esiste ancora una definizione organica di partito, un grande problema se pensiamo alla miriade di leggi che lo citano al riguardo, la sua liquefazione ha prodotto come conseguenza un’opera di presidenzializzazione/personalizzazione degli stessi, con leader che non sono più lo specchio del partito ma viceversa. A questi, si aggiungono i finanziamenti illeciti, provenienti da altrettante fonti illecite e fuorilegge, che forniscono fondi per campagne elettorali e altre attività (anche perché è impensabile che i partiti possano sostenere viaggi e campagne faraoniche con le donazioni). 

I veri problemi della crisi dei partiti, di cui la vicenda della Lega è soltanto il contorno, sono questi e dovrebbero far riflettere seriamente l’opinione pubblica. Siamo in uno scenario molto simile a quello degli inizi del ‘900, con le dovute differenze ovvio, ma quell’atmosfera di smarrimento e di incertezza è identica. Fare il tifo per un’eventuale condanna/caduta del Governo non è sicuramente la soluzione migliore, poiché le incertezze aumenterebbero. Il popolo dovrebbe unirsi e a suon di “chiarezza, trasparenza e legalità” dovrebbe dare una svolta al proprio futuro che è più in bilico di quanto non si creda.

“In questa situazione di incertezza politica, a differenza di una partita di calcio, se si perde, si perde tutti“.
Donatello D’Andrea