Scuola: servono 13mila professori di sostegno, solo 1.600 assunti

Una maestra scrivendo sulla lavagna della scuola
Dossier Cisl Scuola, i tre quarti supplenze a non specializzati

ROMA. – Nell’anno scolastico appena iniziato a fronte di 13.329 posti vacanti per il sostegno, le assunzioni sono state solo 1.682 e 11.647 quelle non effettuate, con una percentuale di scopertura dell’87% che è la più alta rispetto agli ultimi due anni (era dell’83% nel 2016-2017 e del 75% lo scorso anno). E’ quanto emerge nel dossier “I paradossi del sostegno” diffuso in occasione dell’Esecutivo Nazionale della Cisl ad Assisi.

Elevatissima, dunque, la percentuale di assunzioni non fatte, ogni anno, per mancanza di aspiranti in possesso del titolo necessario; la situazione che si determina, per il sindacato, “è a dir poco paradossale” anche perchè così si è costretti ad assegnare i tre quarti delle supplenze a docenti non specializzati. La Cisl chiede che il fabbisogno di posti di sostegno sia sempre essere rivisto alla luce delle effettive esigenze rilevate, che sono di gran lunga superiori a quelle normalmente stimate per la determinazione dell’organico di diritto.

Stando così le cose, la conseguenza più evidente è la presenza di una consistente area di posti che, non potendo dar luogo ad assunzione in ruolo, sono destinati necessariamente ad essere coperti con contratti a tempo determinato, il che rende strutturale una quota non irrilevante di lavoro precario.

Dai dati del MIUR si prevede inoltre che nelle graduatorie per l’anno scolastico in corso il numero degli aspiranti docenti di sostegno forniti di titolo possa crescere di 1.948 unità, per effetto dei percorsi di formazione oggi in atto. Ne consegue che, a parità di supplenze conferite, si avrebbe un leggerissimo abbassamento del grado di “scopertura”, che potrebbe scendere di poco, rimanendo comunque ben sopra il 70%.

“Serve – afferma la Cisl scuola – una politica della formazione sul sostegno più diffusa e mirata. Tra le priorità si può indicare, anzitutto, l’attivazione di specifici percorsi per il conseguimento del titolo di specializzazione, per tutti gli ordini e gradi di scuola, aperti non solo ai docenti abilitati – come oggi avviene – ma anche a quanti, pur non abilitati, hanno acquisito sul campo un’esperienza in molti casi pluriennale.

Ciò presuppone una rivisitazione del decreto legislativo 59/2017, per la scuola secondaria; per infanzia e primaria occorre ampliare l’offerta che oggi le Università rendono disponibile in misura molto limitata. Non possono certo essere i fattori di mercato, che condizionano inevitabilmente il sistema universitario, quelli decisivi per l’avvio di percorsi formativi, sui quali peraltro anche il sistema scolastico deve essere più direttamente coinvolto. Nel frattempo andrebbe fatta chiarezza sui titoli conseguiti all’estero, acquisendo in via preventiva, e non solo con controlli successivi, le necessarie garanzie di qualità e congruità dei percorsi”.

(di Valentina Roncati/ANSA)

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