I “primi cento” del Governo Conte: tra scontri, decreti e incertezze

Da sinistra a destra, il Ministro del Lavoro e leader del Movimento Cinque Stelle, Luigi di Maio con Il Presidente del Consiglio dei Ministri, Giuseppe Conte, e il Ministro dell'Interno, Matteo Salvini, durante il voto di fiducia al Senato il 5 Giugno scorso. FOTO ANSA

Il primo Giugno del 2018, il Governo Conte prestava il suo giuramento. Dopo un’attesa post-elettorale tra le più lunghe di tutta la storia repubblicana, il contratto tra il Movimento Cinque Stelle e la Lega ha dato vita al primo esecutivo di coalizione tra due forze “non parlamentari”.

Due forze politiche nate con lo stesso intento: combattere il sistema. Ecco perché ho azzardato attribuire loro l’appellativo “non parlamentari”. La Lega, nella sua forma attuale, ha guadagnato una certa popolarità dopo Tangentopoli, con l’arresto e la decadenza di politici e imprenditori, al grido di “Roma Ladrona” (lo slogan dei leghisti dell’epoca). Non ha mai goduto di elevati consensi, poiché è sempre stato un partito fortemente regionale e territoriale (Pianura Padana), più volte alleato del Centrodestra berlusconiano, ma senza mai una linea politica che potesse collocarlo agli estremi (destra/sinistra). Con Matteo Salvini leader, invece, il piccolo partito politico è finalmente diventato grande. Oltre ad aver registrato alle elezioni del 4 Marzo un risultato storico (circa il 17%), il partito, ha finalmente un’identità politica, modellata sull’immagine del proprio leader (euroscetticismo, destra, conservatorismo). Inoltre, dopo aver attuato con successo quest’opera di personalizzazione a cui faccio spesso riferimento, gli ultimi sondaggi danno la Lega come primo partito italiano.

Il Movimento Cinque Stelle, invece, è un partito di recente fattura che si è presentato sulla scena elettorale per la prima volta alle amministrative del 2009. Nato dall’evoluzione degli “Amici di Beppe Grillo”, il Movimento è diventato ufficialmente un “grande partito” nel 2013 quando, alle politiche 2013, ottene il 25%. Un voto di protesta che poi si è evoluto in certezza con “la presa” di due città del calibro di Roma e Torino. Infine, il risultato delle Elezioni Politiche 2018 (32,5%) ha permesso il passaggio dall’opposizione alla maggioranza di Governo. L’ennesima prova di maturità, il passaggio dalla critica più serrata (tipica dei partiti d’opposizione) alle proposte e ai progetti a lungo termine. L’orientamento politico del Movimento è alquanto incerto: molti lo pongono in una posizione centrista, senza particolari tendenze a destra o a sinistra. Inoltre, come si è potuto vedere, esso è costituito da un crogiolo di esponenti politici che espongono la propria posizione/linea politica. Roberto Fico, ad esempio, dà l’impressione di essere più vicino alle idee del PD che a quelle della Lega, alleata di Governo. Da vicino, tenendo conto delle dovute differenze, il M5S ricorda molto la Democrazia Cristiana con le varie correnti, ognuna condotta da un uomo carismatico in grado di imporre la propria idea (Andreotti, Fanfani, Moro…).

L’alleanza di questi due partiti molto diversi tra loro, ha dato vita ad un Governo che da poco ha compiuto 100 giorni, il primo traguardo importante per qualsiasi esecutivo. Il “governo del cambiamento” ha proiettato l’Italia in quella che Di Maio ha soprannominato la “Terza Repubblica”, facendo intendere il piglio rivoluzionario di questa nuova “amministrazione”:

Ma prima di addentrarci all’interno delle tematiche affrontate in questo lasso di tempo da parte del Governo Conte, sarebbe opportuno spiegare il perché si attribuisce un’importanza strategica ai 100 giorni.

L’importanza deriva dal fatto che la maggior parte dei Governi nei primi cento giorni presentano i provvedimenti simbolo del proprio programma. Ad esempio, il Governo Letta presentò l’abolizione del finanziamento pubblico diretto ai partiti di Governo; Renzi, invece, presentò la riforma costituzionale.

Lo stesso, però, non si può dire per l’esecutivo giallo-verde. Questo perché, essendo un governo di coalizione tra due forze diverse, molto tempo è stato impiegato per trovare la cosiddetta “quadra”, non solo per la scelta dei ministri e la stesura dei punti contrattuali, ma anche in altri momenti centrali per le dinamiche politiche come la costituzione delle commissioni permanenti.

Dopo l’alleanza Destra-Sinistra o coalizione ABC (Alfano-Bersani-Casini), che ha dato vita ai precedenti Governi targati Monti, Letta e Renzi, anche questa volta l’esecutivo è nato attraverso l’alleanza di due forze politiche avversarie durante la campagna elettorale. In particolare però, i precedenti esecutivi godevano di un’ampia maggioranza a differenza di quello dell’avvocato degli italiani. Questo potrebbe essere un forte handicap soprattutto per quei provvedimenti importanti che troppo spesso provocano dei duri scontri all’interno del Governo stesso. La fiducia infatti, è stata accordata da 350 deputati (soltanto 34 oltre la maggioranza assoluta a quota 316) e da 171 senatori (10 oltre la maggioranza).

La maggioranza instabile è il vero ago della bilancia di questo Governo. I numeri, troppo striminziti, non danno grande fiducia in caso di disaccordo tra gli “azionisti”. Ma, mettendo da parte la speranza di chi scommette sulla durata del Governo, il pericolo di una crisi politica è dietro l’angolo. Non ci dovremmo far ingannare dal “tifo da stadio”, come scrissi nel mio precedente articolo, la politica è altra cosa.

Ma, tralasciando i tecnicismi, nei primi cento giorni cosa ha fatto il Governo Conte? 

Tra i provvedimenti presentati dal Governo, oltre a 4 decreti già convertiti in legge, il Parlamento, già accusato di inoperosità da chi non ha presente che anche i parlamentari vanno in vacanza, ha anche discusso l’annuale milleproroghe, una misura a mio avviso scorretta e inutile che, raggruppando più leggi, ne posticipa l’entrata in vigore. Credo che sia più corretto dedicare del tempo alla discussione di ogni singola legge, anche per dare un segnale di “taglio al passato” ma i nostri governanti, vecchi e nuovi, non sono dello stesso avviso. Inoltre, tanto per aggiungere qualche altra informazione, questo maxi-emendamento, che nel 2018 ha messo assieme ben 11 articoli, viene approvato poco prima di Dicembre, quindi nei mesi invernali, invece il governo del cambiamento ha voluto anticipare la sua discussione all’estate. In queste ore, indiscrezioni dicono che dopo l’approvazione della Camera, sia arrivata anche quella del Senato.

Alcuni decreti, come quello per il tribunale di Bari, la cessione di unità navali obsolete alla Libia e per il riordino delle competenze dei ministeri, non hanno suscitato particolare scalpore. Quelli che preoccupano l’opinione pubblica e le opposizioni riguardano il lavoro, la sicurezza e la legittima difesa.

Il Decreto Dignità, proposto dal Movimento Cinque Stelle e vittima di critiche serrate da parte delle opposizioni, dovrebbe ridisegnare il mondo del lavoro “dal punto di vista dell’operaio”, nel senso di restituire dignità ad una classe sociale che negli anni bui della crisi economica ha visto le proprie condizioni peggiorare. Viene ridotto l’uso dell’a-causalità a lavori che non superino i 12 mesi, togliendo agli imprenditori quell’espediente che permetteva loro di assumere e licenziare a più non posso, mettendo sullo stesso piano il lavoro a tempo determinato e indeterminato (togliendo le cause economiche e sociali che giustificavano la superiorità del secondo). Le normative stringenti in chiave lavorativa, soprattutto nei confronti degli imprenditori, hanno però provocato dei mormorii non da poco. Infatti, economisti di indubbia fama hanno replicato che dal momento in cui la nostra economia necessita di investimenti, una stretta sulle imprese sarebbe altamente controproducente. Ma, come ho cercato di spiegare in un mio recente articolo sul blog riguardante il Decreto targato 5 Stelle, la scelta di schierarsi dalla parte degli operai è pura ed evidente propaganda. Comunque, la proposta di legge è stata votata ed approvata: entrerà in vigore, dopo un periodo di moratoria (una sospensione per non turbare lo svolgimento dei processi economici e sociali), dal mese di Novembre.

Gli altri due provvedimenti, di stampo leghista, sono quelli riguardanti la legittima difesa e la sicurezza. Il primo ha trovato la forte opposizione dei magistrati, preoccupati del recepimento di questa sorta di permesso di “sparare a vista”. Infatti, è molto rischioso abbozzare un mezzo pasticcio su un tema molto importante come la legittima difesa. Il progetto di legge si presenta molto discutibile e confuso e la perplessità dell’associazione dei magistrati sta proprio in questo: non c’è nessuna garanzia giuridica all’interno della bozza del decreto. Ad esempio, viene a mancare la proporzionalità dell’offesa e della difesa che è un importante nodo per comprendere quanto un omicidio si possa giustificare. Questa viene sostituita con una generica “presunzione di legittima difesa”, un inasprimento della pena (giustissimo) da 5 a 8 anni per i furti in abitazioni e un fondo per le vittime dei reati violenti. Al contrario dei magistrati però, ritengo che la legge sulla legittima difesa vada rivista nel complesso a causa di varie falle che la vigente legislazione possiede. Il repentino aumento dei furti non deve condurre né ad un Far West di stampo salviniano ma nemmeno ad una sorta di “Ladropoli”, dove i furti prolificano. Una legge troppo aggressiva, non credo sia la soluzione più giusta a causa del recepimento che potrebbe avere nei confronti di chi ha il grilletto facile. Ci vorrebbe maggiore chiarezza nella stesura del decreto e soprattutto maggiori garanzie giuridiche per la commissione di questo gesto estremo.

Il secondo provvedimento di stampo padano riguarda un tema di imminente importanza: la sicurezza. Concepito per contrastare in primis la prolificazione delle cellule terroristiche islamiche, il provvedimento abbraccia anche l’associazione di stampo mafioso e la sicurezza urbana riferita agli sgombri e le occupazioni abusive. Ovviamente, c’è una forte stretta sui migranti e la concessione dei visti umanitari, così come è stata inasprita la normativa riguardante l’affitto di mezzi pesanti (per prevenire eccidi come quello di Nizza), più assunzioni e fondi per i Vigili del Fuoco e la Polizia di Stato, sgomberi e multe nei confronti di chi occupa abusivamente delle strutture pubbliche e private. Ovviamente non sono mancate delle critiche poiché è un decreto che non tiene conto delle reali condizioni di chi occupa abusivamente un edificio (ad esempio la condizione sociale). Ricordo che le suddette sono soltanto delle bozze e che, come tutti i decreti, dovranno essere presentati al Parlamento che proporrà degli emendamenti tali da poter comunque influenzare la stesura definitiva del progetto di legge. Il decreto, in poche parole, servirebbe per testare sul campo tutto il suo contenuto e gli effetti che questo potrebbe produrre.

L’altro tema di cui il decreto si occupa è quello della lotta alla mafia. Oltre a combattere le infiltrazioni mafiose nei comuni con la nomina di un Commissario straordinario (qualora dalla relazione del Prefetto emergano delle situazioni anomale in ambito amministrativo all’interno di comuni e province), ci sono anche norme inerenti ai beni confiscati alle Mafie e la loro “devoluzione” all’erario.

Queste, più o meno, sono le certezze a cui il Governo nel corso di questi cento giorni ci ha reso partecipe. Restano ancora tanti nodi da sciogliere sull’effettiva funzionalità di alcuni decreti e sulla loro “vestibilità” con la coerenza morale del nostro ordinamento e soprattutto con la legislazione connessa vigente.

Ma, i problemi non finiscono qui. Tante sono le incertezze a cui il Governo Conte dovrà far fronte, a partire dalla “situazione Europa” in tutte le sue sfaccettature.

In questi giorni si terrà l’ennesimo vertice europeo sulla questione migranti a Salisburgo e l’Italia, ancora una volta ha battuto i pugni sulla grande scrivania di Bruxelles presentando quattro richieste:
  • Più investimenti nel Nord Africa: per la sua collocazione tra Europa e Africa, l’Italia è il primo Paese nella gestione dei flussi dei migranti che, partendo dall’Africa Centrale, arrivano prima in Libia e poi nel nostro Paese per dirigersi verso le frontiere europee. Ma a causa dei respingimenti, questi sono costretti a rimanere in Italia. Il Governo Conte, come quelli di Renzi e Gentiloni, ha chiesto degli investimenti “modello Turchia”. Infatti, al Governo di Ankara, l’Europa ha versato sei miliardi di euro per accogliere i profughi siriani. Dunque l’Italia ha chiesto che l’UE riservi una cifra simile ai Paesi del Nord Africa.
  • Rivedere il regolamento di Dublinoun’altra battaglia dell’Italia, portata avanti in campagna elettorale dalla Lega, riguarda la revisione del sistema europeo che disciplina l’assegnazione dei richiedenti asilo ai membri dell’UE. Come più volte spiegato, il Paese che ha il compito di analizzare le richieste d’asilo è quello di prima accoglienza. Dunque tutto il peso di quest’operazione si riversa sull’Italia e sulla Grecia. Per ora, nonostante le varie richieste di revisione di questo Governo e dei precedenti non ha suscitato particolare interesse a Salisburgo. L’idea dell’Italia, legittima, sarebbe quello di alleggerire il peso di queste domande scindendo “porto sicuro” da “Stato competente” per esaminare le richieste. L’obbligo morale del salvataggio deve essere condiviso.
  • Rivedere le regole dell’operazione “Sophia”: quest’operazione militare targata Europa, ha visto la luce nel 2015 ed è stata prorogata due volte. Questa missione fu concepita per assestare dei duri colpi ai trafficanti di esseri umani nel Mediterraneo centromeridionale, a cui si collegano i salvataggi in mare. I migranti salvati, sulla scia dell’operazione Triton, vengono tutti portati in Italia (primo porto sicuro). Il Governo Conte vuole scongiurare nuovi casi Diciotti e condividere la gestione dei flussi con gli altri Paesi. Infatti, intelligentemente si potrebbe proporre una rotazione dei porti di sbarco così da rendere davvero solidale e sincera la collaborazione europea.
  • Riformare l’agenzia UE per il controllo delle frontiere: questa posizione viene condivisa, oltre che dall’Italia, solo dall’Austria e dal Cancelliere Kurz. Infatti, alcuni Paesi, tra cui quelli del blocco di Visegrad, sono contrari all’intromissione dell’UE all’interno dei temi riguardanti la sicurezza. E sarà difficile trovare una soluzione comune. Nemmeno la proposta dei centri di sbarco all’interno dei Paesi membri ha trovato ascolto all’interno del Consiglio.

Le quattro richieste dell’Italia, seppur legittime, poco probabilmente verranno prese in considerazione dai leader dei Paesi membri. In primis il blocco di Visegard, che ironicamente ho battezzato “il blocco del niet”, non vuole intromissioni all’interno dei propri affari, come se la loro appartenenza all’Unione Europea fosse legittima soltanto quando necessitano di denaro, in effetti hanno più ricevuto che dato da quando l’Europa ha aperto loro le porte.. La Germania e la Francia hanno delle questioni imminenti in sospeso (relativa alla maggioranza scricchiolante in Germania e alla scarsa popolarità di Macron in Francia) e vogliono continuare ad eseguire la loro politica nell’anonimato, senza intromissione alcuna. Infatti, mentre l’ONU bacchetta l’Italia su un improbabile e falso allarme razzismo, la Merkel ha fatto rimpatriare 40mila algerini, senza nessuna giustificazione.

La questione è spinosa, non solo quella relativa ai migranti. Anche quella economica non sorride al nostro Paese e tra il settembre dell’anno corrente e il maggio 2019, potrebbe essere un durissimo banco di prova per l’Italia. Mario Draghi, presidente della BCE, ha annunciato la fine del quantitative easing in Italia (una manovra che porta la banca centrale ad intervenire sulla banca di un Paese membro, col fine di aumentare la circolazione di moneta), esponendo l’Italia ad una crisi del debito e dello spread simile a quella primaverile con l’annuncio del Governo giallo-verde. A questa pessima notizia si allacciano le dichiarazioni del Ministro Paolo Savona relative ad un probabile attacco speculativo per destabilizzare il nostro Paese, mentre Tria rassicura l’UE sulle scadenze dell’Italia.

Inoltre lo scenario internazionale con la guerra economica a distanza tra USA-Turchia e USA-Cina, potrebbe coinvolgere l’Italia, chiamata a rispondere in quanto il Governo sembri abbracciare le idee di Trump. Tutto questo mentre sullo sfondo ci sono le Elezioni Europee del 2019, dove l’Italia sarà il perno “del cambiamento”. Il voto sarà uno spartiaque storico dato che per la prima volta non assisteremo al classico scontro tra Partito Socialista e Partito Popolare ma tra l’ancien règime e le nuove forze sovraniste. Una sfida che potrebbe inaugurare la nascita di un nuovo Parlamento Europeo e di una nuova Italia con una vera Terza Repubblica (non soltanto giornalistica) e un nuovo bipolarismo.

Gli ostacoli sono tanti e il Governo dovrà mostrare la sua vera vena “rivoluzionaria” e la maturità necessaria per prendere delle decisioni importanti con consapevolezza e buonsenso (soprattutto in ambito economico). Gli elettori si aspettano delle risposte nell’immediato e non solo mera propaganda, così come l’Europa (nostro creditore) si aspetta che l’Italia si attenga agli impegni presi. Bisogna trovare un accordo e qui dovrà emergere la professionalità e l’adeguatezza della classe dirigente (e la solidarietà dell’Europa).

Dopotutto l’Italia ha bisogno dell’Europa, ma l’Europa non può fare a meno dell’Italia. 

Uno scenario interno travagliato e uno scenario internazionale in bilico. I 100 giorni del Governo Conte sono stati molto movimentati su entrambi i fronti. Da un lato i due partiti hanno cercato di tener fede alle promesse elettorali (Decreto Dignità e decreti salviniani) e dall’altro hanno cercato di restituire all’Italia un ruolo di primo piano, e non di passivo interlocutore, all’interno dello scenario mondiale ed europeo. Per contro, ancora poco è stato fatto per il lavoro e l’economia, se non qualcosa di incompleto e propagandistico. La strada è ancora lunga ed è difficile tracciare un bilancio, se non sommario. Sicuramente nell’immediato, un vero banco di prova potrebbe essere considerato il DEF (documento di economia e finanza o “bilancio”) sia per come verrà redatto e presentato all’UE sia per testare la solidità della maggioranza di Governo. Lì potrà essere emesso un giudizio sicuramente più completo.

Donatello D’Andrea