Rotta intesa, M5s paventa la crisi. Conte: “Così lascio”

Il ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio (s), il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, il ministro dell'Interno Matteo Salvini a Palazzo Chigi durante conferenza stampa al termine della riunione del Cdm sulla manovra fiscale. Ue
Il ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio (s), il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, il ministro dell'Interno Matteo Salvini a Palazzo Chigi durante conferenza stampa al termine della riunione del Cdm sulla manovra fiscale. ANSA/GIUSEPPE LAMI

ROMA.- L’ipotesi “fine del mondo” si materializza nel tam tam fin dal primo mattino. E diventa, man mano che lo spread sale, paura di “schiantarsi” prima del previsto. Nei capannelli dei parlamentari pentastellati è questo il riverbero del plateale, cruento scontro sul decreto fiscale.

La Lega ostenta tranquillità: non c’è crisi di governo. Ma l’aria è quella. Tra Luigi Di Maio e Matteo Salvini non risultano contatti da quando mercoledì sera il leader M5s ha lanciato da uno studio tv l’accusa di una “manina” intervenuta a cambiare il decreto fiscale.

Il premier Giuseppe Conte, che descrivono profondamente irritato con i suoi vicepremier fino al punto di mettere sul tavolo – ma Palazzo Chigi smentisce – la minaccia delle dimissioni, sente Di Maio e Giancarlo Giorgetti, luogotenente di Salvini (con cui scambia sms), intimando loro di chiarirsi.

Ma accuse e veleni sono una fiumana inarrestabile. La “saggezza” dei mediatori potrebbe prevalere nelle prossime ore: l’ipotesi è lasciare intatta la soglia della sanatoria fino a 100mila euro, eliminando la depenalizzazione per il reato di riciclaggio.

Ma l’uscita di Di Maio che terremota un governo già esposto sui mercati per la bocciatura Ue, non viene perdonata tanto facilmente dalla Lega. Salvini, che ironizza apertamente sull’uscita dell’alleato, detta la linea: il testo non cambia e non si ripassa dal Cdm né da un vertice di governo.

In una riunione serale di Giorgetti con sottosegretari e capigruppo alla Camera emerge una linea meno ‘politica’ di quella del leader, che è di chi come Garavaglia, da tecnico, sostiene la possibilità di cambiare qualcosa. Ma mentre fonti M5s raccontano profonde divisioni tra i leghisti, loro professano compattezza: fare quadrato a difesa di Giorgetti e Garavaglia, è l’input.

Stessa scena, a parti invertite, tra i pentastellati: il testo va cambiato, punto. Anche Alessandro Di Battista difende Di Maio. Ma raccontano diverse fonti parlamentari pentastellate che a far salire sugli scudi il leader M5s, mercoledì sera, sarebbe stata una telefonata ricevuta da Beppe Grillo che letto dell’ipotesi di un condono con depenalizzazione del riciclaggio, avrebbe chiesto conto di una misura che tradisce i principi del Movimento.

In casa M5s finiscono sul banco degli imputati Di Maio e la sottosegretaria Laura Castelli, rei di non aver saputo bloccare il condono e di essersi fatti “fregare” dalla Lega nella scrittura del testo. Ma la versione dei fatti fatta filtrare dal M5s li assolverebbe: alla Castelli il testo sarebbe stato portato da un funzionario del ministero solo alle 18 di mercoledì, dopo che era già sui media. Immediato, lo stop.

Dal M5s aggiungono che sarebbe stato il Quirinale a giudicare informalmente inaccettabile la bozza “fraudolenta” (ancora in piedi l’idea del Movimento di sporgere denuncia) perché non sarebbe ammissibile la depenalizzazione. Fonti del Colle si limitano invece a far sapere che nessuna interlocuzione c’è stata: la questione riguarda governo e Parlamento.

Il M5s, scuotono irritati la testa i leghisti, sta mostrando tutta la sua inaffidabilità: così non si può andare avanti. Una via di uscita a sera ancora non si materializza. E così tra i pentastellati si diffonde il timore che Salvini, dopo essersi proposto come leader dei sovranisti europei, voglia far cadere il governo anzitempo.

Agli atti per ora resta solo una crisi mai vista: M5s accusa Giorgetti e Garavaglia, complici del Mef, di aver tentato il blitz; la Lega ribatte che il M5s conosceva bene il testo, “che non contiene ‘scudi’”; Castelli dice di essere pronta a pubblicare la chat in cui informava Garavaglia della norma su Rc che ora il leghista disconosce. E si duella anche sul Cdm che ha dato il via al testo. Giorgetti ricorda di non aver firmato lui il verbale della riunione, essendo andato via prima. E’ stato Di Maio stesso a verbalizzare la riunione al posto di Giorgetti, in quanto ministro più giovane: “sarà stata sua – ironizza un leghista – la manina?”.

(di Serenella Mattera/ANSA)

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