Russiagate, Cohen inguaia Trump: “Ho mentito al Congresso”

Michael Cohen presenta Donald Trump durante la campagna elettorale nel 2016 a Cleveland.
Michael Cohen presenta Donald Trump durante la campagna elettorale nel 2016 a Cleveland.

WASHINGTON. – “Ho mentito al Congresso sui rapporti con i russi per costruire una Trump Tower a Mosca, mi dichiaro colpevole”: Michael Cohen, l’ex avvocato personale di Donald Trump che si era detto pronto a prendersi una pallottola per lui, lo inguaia con una dichiarazione esplosiva proprio alla vigilia del G20 argentino.

“E’ una persona debole e non molto intelligente che mente per ottenere sconti di pena”, ribatte prima di volare a Buenos Aires il tycoon, che poi cancella l’incontro con Vladimir Putin invocando la crisi ucraina, anche se non sembra estranea la nuova ombra del Russiagate.

Cohen si è presentato in una corte federale di New York per confessare di aver mentito lo scorso anno alla commissione intelligence del Senato, alla quale aveva riferito che tutti i colloqui per la costruzione del grattacielo erano terminati nel gennaio 2016, prima che iniziasse la campagna per la Casa Bianca.

Invece il legale ha ammesso che i negoziati proseguirono sino al giugno dello stesso anno, mese in cui avvenne il controverso incontro alla Trump Tower di New York tra lo staff elettorale del tycoon ed emissari russi che avevano promesso materiale compromettente sulla sua rivale Hillary. Cohen ha rivelato inoltre di essere andato a Mosca in maggio per seguire il progetto e di aver aggiornato Trump almeno tre volte, oltre ai membri della sua famiglia.

La versione, se provata, smentirebbe il tycoon, che sin dall’inizio della campagna elettorale aveva assicurato di non avere interessi finanziari in Russia. Affermazione ripetuta ogni volta che gli veniva chiesto conto della sua ammirazione per Putin e dei suoi sforzi per migliorare le relazioni Usa-Russia. Se poi il presidente l’avesse ribadita anche nelle risposte scritte al procuratore speciale del Russiagate Robert Mueller rischierebbe l’accusa di falso.

Cohen ha spiegato di aver mentito per essere “leale e coerente con il messaggio politico dell’individuo 1”, identificato con lo stesso Trump. In agosto il legale si era già dichiarato colpevole di otto capi di imputazione, tra cui frode bancaria, evasione fiscale e violazione della legge elettorale per aver comprato su ordine di Trump il silenzio di una pornostar e di una coniglietta di Playboy su presunte relazioni avute con il tycoon. E si era detto pronto a cooperare con Mueller, che l’ha già sentito varie volte.

Dopo aver tentato di demolire la figura di Cohen, Trump ha messo le mani avanti, sostenendo che fu lui a bloccare il progetto di una Trump Tower a Mosca, ma che “non ci sarebbe stato nulla di male se l’avessi fatto: quando corro per la presidenza non significa che non mi è permesso fare business”.

Ma Trump sembra sentire che il cerchio dell’indagine di Mueller si sta stringendo, come dimostrano l’escalation dei suoi attacchi via Twitter, l’evocazione della grazia per l’ex capo della sua campagna Paul Manafort e la minaccia di desecretare documenti “devastanti” per i democratici se apriranno inchieste contro la sua amministrazione quando a gennaio prenderanno il controllo della Camera.

(di Claudio Salvalaggio/ANSA)

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