Marotta: “ L’Italiano è una lingua viva”

MADRID – La lingua, pare che tutti siano d’accordo, è una creatura in continua evoluzione. Cambia con la società; ne è il riflesso. Chi vive all’estero se ne rende immediatamente conto quando torna in Patria per vacanza o per lavoro. Spesso s’imbatte in parole nuove, sconosciute o in espressioni linguistiche riprese da altre lingue. La globalizzazione, d’altronde, non solo ha abbattuto le frontiere fisiche, ma ha anche permesso la permeabilità tra culture e, quindi, tra lingue. Di questo è convinta anche la dottoressa Mirella Marotta, Vicedirettrice del “Departamento de Estudios Románicos, Franceses, Italianos y Traducción” della prestigiosa Universidad Complutense di Madrid.

– L’evoluzione della lingua in Italia mi sembra una cosa bella – ci dice -. Secondo me la nostra è una lingua che si è creata come un qualcosa di molto dinamico, vivo, mobile. E questa mobilità la mantiene viva. Espressioni prese in prestito da altre lingue? Non mi sembra che rappresentino un problema. L’italiano è una lingua vivace che riflette la vita di una nazione.

– Come mai la Spagna?

– Abito in Spagna da quando sono bambina.

– Figlia di emigranti, quindi, seconda generazione…

– Sì, figlia di emigranti, seconda generazione – ammette -. Prima è venuto mio nonno, poi mio padre e mia madre. Sono nata qui. Anche se abitavo a Madrid, nel fondo, ho vissuto sempre in seno alla comunità italiana. Penso sia un fenomeno normale. La Spagna era un altro mondo, qualcosa che stava fuori, estranea. Si andava a scuola nel Liceo Italiano, si frequentavano amici italiani, anch’essi figli di emigrati. Il fine settimana, poi, si andava all’Istituto Italiano di Cultura o a una festa in Ambasciata. Questa era tutta la nostra vita.

Mirella Marotta, Vicedirettrice del “Departamento de Estudios Románicos, Franceses, Italianos y Traducción”

– Le seconde generazioni sono ancora assai legate all’Italia, le terze generazioni, invece, pare si sentano più cittadini del mondo. Non crede?

– Sì, in effetti, è così – concorda -. Lo vedo con i miei figli. Devo comunque dire – prosegue -, che attraverso il nonno, che hanno amato e ammirato tanto, si sentono molto fieri della loro parte italiana. Tanto è cosí che tutti e due vorrebbero cambiare la posizione dei cognomi. Mio marito è spagnolo. Ebbene, i miei figli vogliono acquisire il cognome del nonno, senza rinunciare ovviamente a quello del padre. E’ un loro desiderio, un loro progetto. Non so se poi finiranno col farlo. Mia figlia, che è già una professionista, firma Flavia, poi una P., che è il cognome del padre, e Marotta. Chiaramente io ne sono molto contenta.

 

Dalla fisica alla filologia

La filologia è l’insieme di discipline che studia testi, antichi e contemporanei, di varia natura: letterari, storici, politologici, economici, giuridici, ecc. Lo scopo è la ricostruzione della loro forma originaria attraverso l’analisi critica e comparativa delle fonti. In altre parole, l’obiettivo è offrire l’interpretazione più corretta possibile. La dottoressa Marotta è insegnante di prestigio presso l’Università Complutense nella Facoltà di Filologia. Le chiediamo:

– Perché l’insegnamento?

– L’insegnamento della lingua italiana funziona molto bene in Spagna – commenta -. Soprattutto a Madrid dove risiede una comunità italiana assai numerosa e con un livello culturale medio alto.

– Le vecchie generazioni erano costituite per lo più da persone umili, contadini, operai artigiani. Forse proprio per questa loro condizione, hanno avuto l’ambizione di offrire ai figli un’ottima formazione culturale; quella che a loro era stata negata dalle circostanze. Se le prime generazioni sono state costrette a viaggiare con la valigia di cartone, i loro discendenti lo fanno oggi con computer e la 24 ore. Sono giovani assai preparati.

– Si effettivamente. L’italiano, dicevo, funziona molto bene. Noi abbiamo un elevatissimo numero di studenti. Per il primo corso, siamo costretti ad aprire cinque o sei sezioni perché si iscrivono sempre più di 400. Il primo e il secondo anno, nella nostra università, sono i più frequentati. Gli studenti scelgono due lingue. E in tanti preferiscono l’italiano. Nel terzo e quarto anno, che da noi sono già di specializzazione, il numero è comunque assai elevato: circa 40, 50 alunni.

– Cosa l’ha spinta a specializzarsi in filologia?

Sorride. Dopo una breve riflessione, racconta senza nascondere un po’ di nostalgia:

– La mia storia è molto strana. Ho frequentato il liceo scientifico italiano e volevo studiare fisica. E, in effetti, ho iniziato. A quel tempo era molto difficile accedere alla Facoltà di Fisica. Bisognava superare un esame difficilissimo. Ci sono riuscita e, devo dire senza falsa modestia, anche molto bene. Andavo a lezione. La Facoltà di Fisica è vicina a quella di Filologia. Andavo a lezione di fisica e, quando finivo, venivo qua, a Filologia, ad ascoltare le lezioni di letteratura. Un giorno, a casa, mia madre mi disse: “Ti piace la letteratura. Pensaci un po’…”. Aveva ragione. Ci ho pensato e ho cambiato. Ho preferito la Filologia ma non perché prendessi brutti voti in Fisica o perché non mi piacesse più. Non era quello il problema. Semplicemente mi mancava la letteratura. Ho incominciato a studiare Filologia italiana e, come vedi, sono qui… da circa 35, 40 anni.

– L’interferenza dello spagnolo nell’italiano è frequente. Suole accadere che ci si confonda. Ci sono meccanismi di difesa, che permettano di evitarlo?

– Il fenomeno dell’interferenza si può combattere – spiega -. Anzi, si deve combattere. Ma è molto difficile. Dopo tantissimi anni, anche studiando le lingue, si continua a soffrire delle conseguenze di questo fenomeno. Ovviamente cerchiamo di pulire la lingua dei nostri studenti. Non insegno la lingua ma letteratura e traduzione e comunque non importa perché si lavora sempre in questo senso. L’italiano e lo spagnolo sono molto vicini.

Sostiene che la vicinanza tra le due lingue, alla fine, offre sia aspetti positivi sia negativi. Considera che le interferenze linguistiche sono comuni soprattutto tra quelle persone che non conoscono bene l’italiano o lo spagnolo e che, comunque, “si sentono nella libertà di fare traduzioni”.

-In effetti, in Spagna – prosegue -, abbiamo un grosso problema: la traduzione delle opere letterarie italiane è affidata a case editrici che, non sempre ma sì con una certa frequenza, danno l’incarico a persone che non hanno una conoscenza ottima dell’italiano. Non è raro, quindi, imbattersi in traduzioni deficienti. Le interferenze sono gravi. Ho letto un articolo di un giornale digitale nel quale si sosteneva che due su tre spagnoli pensano di potersela cavare con l’italiano. E’ grave;  perché ci porta alla diffusione poco specializzata della lingua.

 

L’evoluzione dell’italiano in Spagna

Purtroppo quando due lingue sono così affini, come l’italiano e lo spagnolo, è facile commettere errori. Ci sono espressioni in italiano impossibili da tradurre allo spagnolo e ve ne sono altre in spagnolo che per quanto possano essere ben tradotte non riescono a rendere pienamente l’idea dell’autore. A volte parliamo in “itañolo” proprio per questa ragione. Viene spontaneo. Ciò accade nella lingua parlata, e tra chi conosce entrambe. Quel che è più grave, invece, è scrivere e commettere questi errori. Ad esempio, scrivere senza dizionario. I giovani lo consultano sempre meno; o si fidano troppo della web. Qual è, a suo giudizio, l’evoluzione della lingua in Italia e di quella italiana in Spagna?

– Una lingua che s’insegna all’estero è sempre molto più statica – spiega -. Si muove meno. Detto questo, l’evoluzione della lingua in Italia mi sembra una cosa bella. Secondo me l’italiano è una lingua che si è creata come un qualcosa di molto dinamico, vivo, mobile. E questa mobilità la mantiene. Termini stranieri? Non mi sembra che siano un problema.

– E’ anche una lingua molto recente…

– E’ una lingua che si è formata dagli “imput” di tutto il lessico che circolava nelle differenti regioni. Anche per questo motivo, è sempre stata una lingua dinamica che ha accettato il termine non solo forte ma anche più espressivo. L’italiano continua a essere così, ad esprimere questa qualità. Secondo me è una cosa molto bella. L’italiano che insegniamo, invece, è più statico, più basico. Evolve meno.

– E’ forse più didattico

– Sì, ma ne siamo obbligati.

– Parliamo della produzione letteraria contemporanea in Italia. Qual è la sua opinione?

Immediatamente l’espressione del suo volto s’illumina. E’ chiaro che è un tema che l’appassiona. D’altronde, è il suo terreno, vi si trova a suo agio e si vede subito.

– E’ la mia materia… le ultime manifestazioni della letteratura italiana – spiega sorridendo -. Sono un’entusiasta di ciò che si sta scrivendo attualmente. Non tutti gli autori mi piacciono. E’ normale. Credo che dalla fine del 900 ad oggi abbiamo avuto una produzione fantastica. Ci sono grandi autori; autori che rimarranno nella storia della nostra letteratura.

 

Tabucchi, Baricco e Camilleri

– Se un amico dovesse chiederle cosa leggere, che le consiglierebbe?

Altri prenderebbero tempo, rifletterebbero sulla vasta offerta letteraria contemporanea prima di dare una risposta. La dottoressa Marotta non ne ha bisogno. Ci dice:

Lo scrittore Andrea Camilleri

– Mi piace tantissimo Antonio Tabucchi. E’ una persona che non abbiamo più tra noi ma che veramente ha fatto il punto sulla letteratura. C’è poi Alessandro Baricco. Lo so, stiamo di fronte ad un autore molto polarizzante; uno scrittore che crea tanti amori e altrettanti odi. E’ molto polemico ma a me piace. Poi, negli ultimi tempi, stiamo lavorando molto per sfatare l’idea assai diffusa che la produzione di Andrea Camilleri sia solo per la massa. Penso che l’opera di Camilleri abbia un’altissima qualità letteraria. Non perché un autore piace a tutti, la sua produzione deve considerarsi di bassa qualità. Nel mio corso, ho purtroppo solo quattro mesi a disposizione, parliamo tanto di questi autori. Partiamo da Calvino, perché non ne possiamo fare a meno; passiamo per Gianni Celati, un autore che oggi non so per quale ragione è quasi dimenticato, e poi affrontiamo immediatamente e in profondità Tabucchi, Baricco e Camilleri.

– Passiamo dal linguaggio letterario a quello dei nostri giornali. La velocità nel dover informare comporta spesso compromessi difficili tra lo scriver bene e lo scriver veloci. L’avvento delle nuove tecnologie, poi, ha imposto altre esigenze. A suo giudizio, qual è stata, in questo settore, l’evoluzione della lingua?

– Su quest’argomento – confessa con un eccesso di modestia – il mio giudizio non è così ben formato come quando parlo di letteratura. Posso parlare del linguaggio nei giornali da semplice lettrice. Direi che anche se la velocità ovviamente obbliga a un linguaggio senz’altro meno curato di quanto possa essere quello letterario, l’Italia ha il merito di non star distruggendo né la grammatica né la sintassi. Probabilmente si operano più modernizzazioni nel lessico. Il linguaggio dei giornali si permette questo lusso. Ma voi giornalisti non avete perso la capacità di scrivere bene. In Spagna, invece, il discorso è un altro. I giornali a volte sono illeggibili. Si vedono certe cose che fanno male. Secondo me, in Italia ancora non accade. Si ha molta più cura del linguaggio, più rispetto per le regole.

– Eppure, in Spagna c’è la “Real Accademia” che cerca di regolare e orientare la lingua. E’ vero che in Italia abbiamo l’Accademia della Crusca, ma lo è anche che è semplicemente un punto di riferimento. Non possiamo paragonarla col ruolo che svolge la “Rae”.

– L’Accademia della Crusca – commenta- è orientativa… E’ strano che avendo un’Accademia che, in Spagna, è precettiva poi non si rispetti come si spera.

– Non è quindi solo un fenomeno latinoamericano…

– In Spagna –precisa -, ovviamente ci sono persone che scrivono bene ed è un piacere leggere.

Inglese, francese, tedesco, giapponese tutte lingue che negli ultimi anni, grazie soprattutto alla globalizzazione, hanno assunto un ruolo particolarmente importante. Chiediamo alla docente quali sono le lingue che hanno un peso nell’ambito della società spagnola.

– Devo ammettere che la scelta del francese è ancora superiore in numero a quella dell’italiano – afferma -. Con il tedesco, invece, non mi sembra che ci sia una grossa differenza. Siamo lì.  Per quel che ne so, per numero di studenti della nostra Facoltà la scelta dell’italiano e quella del tedesco è equilibrata – prosegue -. Il francese è un pochino più su. Comunque non in grande percentuale. Devo far notare – conclude – che la nostra Facoltà ha un’offerta molto ricca. Insegniamo circa 14 lingue. Ad esempio, il coreano, il cinese, l’arabo, l’ebreo, le lingue slave, ma curiosamente non il giapponese. Abbiamo un ventaglio interessante di offerta linguistica.

Bafile Mauro