Salvini spinge il M5S sull’autonomia, c’è rischio ricorsi

Luigi Di Maio, ministro dello Sviluppo Economico e Lavoro (s), e Matteo Salvini, ministro degli Interni, nell'aula della Camera dei Deputati durante il Question Time.
Luigi Di Maio, ministro dello Sviluppo Economico e Lavoro (s), e Matteo Salvini, ministro degli Interni, nell'aula della Camera dei Deputati durante il Question Time, Roma 13 febbraio 2019. ANSA/FABIOFRUSTACI

ROMA. – La Lega continua a spingere per accelerare il percorso dell’autonomia differenziata cercando di rassicurare l’alleato di governo pentastellato sul fatto che non ci saranno ripercussioni negative per il Mezzogiorno. E mentre il Movimento nicchia, oggi entra in campo un autorevole gruppo di giuristi (Massimo Villone e Gianfranco Viesti, tra gli altri) che prevede un intervento della Corte Costituzionale se non verrà garantito al Parlamento la possibilità di valutare ed emendare il provvedimento. Un ricorso alla Consulta sarebbe, a loro avviso, praticamente inevitabile se non sarà sciolto il nodo di un ruolo pro-attivo delle Camere nel processo.

A cercare di smuovere un ingranaggio che sembra arrugginito è intervenuto personalmente Matteo Salvini: “Sulle autonomie la strada maestra è la Costituzione, noi stiamo applicando quanto previsto dalla Costituzione: non c’è un’idea della Lega, è la Costituzione che prevede che le Regioni possano chiedere fino a 23 competenze”, ha detto.

Ma il leader della Lega, rivolto ai Cinque stelle, ha subito aggiunto: “A guadagnarne sarebbe soprattutto il sud”. A fargli da controcanto il ministro degli Affari regionali e autonomie, Erika Stefàni: “Le regioni che chiederanno l’autonomia non toglieranno risorse alle altre. Inizialmente, il prelievo fiscale trattenuto sul territorio sarà equivalente al trasferimento che oggi lo Stato destina alle regioni per le competenze esercitate in tali regioni. Quindi questo esclude – ha garantito – che le risorse saranno sottratte agli altri territori”.

Ma le preoccupazioni restano, soprattutto per scuola e sanità. “Condivido queste preoccupazioni”, fa sapere la ministra pentastellata Giulia Grillo secondo la quale “c’è una Costituzione da rispettare e va seguita pedissequamente per garantire gli equilibri del sistema, per cui devono rimanere i principi di equità. Ed io mi farò garante di questi principi”.

Dubbi che pervadono anche Forza Italia, che pur essendo favorevole ad una maggiore autonomia alle regioni, guarda con attenzione alle preoccupazioni del sud: “Diciamola tutta però – replica Mara Carfagna a Salvini – la Costituzione prevede la facoltà di attribuire alcune competenze alle Regioni. Prevede anche l’obbligo di provvedere alla perequazione nei confronti dei territori con minore capacità fiscale, cioè le Regioni meno ricche”.

Ma il nodo centrale di queste ore non è stato ancora sciolto – nonostante l’intenso lavoro dei presidenti di Camera e Senato, Roberto Fico e Maria Elisabetta Casellati – e riguarda l’impotenza del Parlamento che – ad oggi – non è coinvolto nel processo e rischia di rimanere spettatore muto del divenire.

Infatti, secondo diversi giuristi, le intese per il regionalismo differenziato di Veneto, Lombardia e Emilia Romagna devono poter essere “pienamente emendabili” dal Parlamento, altrimenti ogni singolo parlamentare potrà fare un ricorso alla Consulta sollevando conflitto di attribuzione, come la recente ordinanza della stessa Corte ha indicato come possibilità.

Rischio che ovviamente l’opposizione cavalca minacciando lo spettro di una serie di rapidi ricorsi alla Corte che potrebbero, se non inficiare, sicuramente rallentare di molto l’operatività dell’autonomia. “Il Parlamento deve essere protagonista e non un semplice passacarte delle intese”, ammonisce il capogruppo di LeU, Federico Fornaro.

(di Fabrizio Finzi/ANSA)

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