Conte: “Il Parlamento indichi la strada sulle Autonomie”

Tabellone elettronico della Camera durante una votazione. Parlamento
Tabellone elettronico della Camera durante una votazione. ANSA/GIUSEPPE LAMI

ROMA. – Non c’è ancora nessun testo pronto da mandare in Parlamento e i tempi “saranno ancora lunghi”, ma c’è una certezza: le Camere saranno “necessariamente coinvolte” e verrà “rispettata la solidarietà nazionale” perché nulla verrà fatto “a discapito delle altre regioni”. Sembra essere questo al momento lo stato dell’arte sul fronte delle autonomie, almeno a quanto spiegano il premier Giuseppe Conte e il ministro per le Regioni Erika Stefani.

Il presidente del Consiglio, rispondendo in Senato a mozioni sull’autonomia, fa capire chiaramente che chi pensava ad una sorta di “blitz” per estendere il potere di Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna ricorrendo solo al binario delle intese, da concretizzare sulla falsa riga di quelle che lo Stato raggiunge con le confessioni religiose (cioè senza il coinvolgimento reale del Parlamento) rimarrà deluso.

Il governo, assicura Conte, è disponibile ad aprire un “confronto con il Parlamento” sul “contenuto” delle intese e “nelle forme che verranno definite nei prossimi giorni nel rispetto delle prerogative” delle Camere della cui “centralità” si è detto “ben consapevole”.

In più, il premier si fa assolutamente garante del fatto che verrà “pienamente realizzata” e rispettata la “solidarietà nazionale”, così come “previsto dal Contratto di governo”, e che “non è previsto in alcun modo il riferimento ad indicatori collegati all’introito fiscale”. “Ci vorranno mesi”, assicura infine, perché quella svolta sinora “è solo un’istruttoria”.

Sulla stessa linea, le dichiarazioni del ministro Stefani in Commissione per il federalismo fiscale. L’esponente della Lega, che nei giorni scorsi aveva sostenuto la tesi che le intese con le regioni fossero uguali a quelle con le confessioni religiose, nella sua audizione dice che tutto verrà demandato al Parlamento (con un “confronto” da fare “prima” della firma Stato-regioni) e al percorso che i presidenti delle Camere “vorranno indicare” perché non “è certo il governo a dover indicare la strada”.

E anche sui tempi, il rallentamento è evidente. Erika Stefani spiega di non avere “il dono divino” per arrivare subito “ad una soluzione” e che il 7 marzo incontrerà il Governatore della Campania Vincenzo De Luca, che aveva sparato a zero sul regionalismo differenziato, per vedere di arrivare ad un confronto con la Campania. Poi, la parola dovrà passare alle Camere.

Toni molto più cauti, si osserva nell’opposizione, rispetto ai giorni scorsi quando l’intesa tra governo e le tre regioni del Nord sembrava ormai cosa fatta e pronta a ricevere “l’imprimatur” del Consiglio dei Ministri. La determinazione dei presidenti di Camera e Senato a “parlamentarizzare” una procedura di fatto mai scritta (è la prima volta che si applica l’articolo 116, terzo comma della Costituzione) e anche una “moral suasion” che in molti dicono sia arrivata dal Colle, avrebbe portato l’ala leghista del governo a più miti consigli.

Ma l’idea sostenuta da Renzi che ci sia una frenata sul tema in cambio del “salvataggio” di Salvini dal processo sulla nave Diciotti, da parte del M5S, viene bollata dal ministro dell’ Interno come “una fesseria” e “un’ipotesi squallida”. Intanto i consiglieri regionali discutono a Napoli dell’ultimo rapporto Censis sulle regioni (che è di ottobre) dal quale emerge che il 56,3% di loro vede di buon occhio il regionalismo differenziato. Però “non scherziamo”, avverte Pierluigi Bersani, perché con “20 autonomie salta lo Stato”.

(di Annalaura Bussa/ANSA)

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