Uccisa dal marito, il parroco: “Chi dà uno schiaffo a una donna è uno stronzo”

Il parroco della chiesa del Rione Sanità di Napoli, don Antonio Loffredo.
Il parroco della chiesa del Rione Sanità di Napoli, don Antonio Loffredo.

NAPOLI. – “Chi dà uno schiaffo a una donna è uno stronzo”: durante l’omelia non usa mezzi termini il parroco della chiesa del Rione Sanità di Napoli, don Antonio Loffredo, dove si sono celebrati i funerali di Fortuna Bellisario, la donna di 36 anni, madre di tre figli, morta in casa la vigilia della Festa della Donna, dopo essere stata picchiata con una stampella dal marito.

Parole dure, pronunciate dal sacerdote con il chiaro intento di far comprendere a tutti come giudica – e come ognuno dovrebbe giudicare – chi usa la violenza contro le donne. “Da piccolo mi hanno sempre detto – ha proseguito il prete – che una donna non si tocca nemmeno con un fiore. L’amore non lascia lividi. Alle donne dico: se siete in difficoltà, denunciate”.

E, invece, di lividi e contusioni ne sono stati trovati tanti sul corpo della povera Fortuna. Datati, secondo il medico legale che ha eseguito il primo esame sulla salma. Prime risultanze che comunque hanno spinto gli inquirenti della Sezione “Fasce Deboli” della Procura, a fare ulteriori accertamenti per scoprire se la donna, che non ha mai denunciato le violenze subite, fosse stata anche sottoposta a sevizie dal marito 41enne, Vincenzo Lopresto.

Alla polizia, che l’ha praticamente arrestato in flagranza, l’uomo ha confessato di avere picchiato la consorte al culmine di una lite scatenata dalla sua morbosa gelosia. Temeva avesse una relazione, di cui non c’è traccia. Ora è in carcere, con l’accusa di omicidio. Comunque saranno i risultati dell’esame autoptico – che gli inquirenti hanno chiesto di avere in tempo record – ad accertare com’è morta Fortuna: i segni delle percosse trovati sul suo cadavere, infatti, non sarebbero riconducibili alla causa del decesso. Per la verità bisognerà attendere ancora una settimana. O poco più.

Il Rione Sanità non ha voluto far mancare il suo affetto a una sua figlia. Sulla bara è stato adagiato uno striscione: “Fortuna è l’angelo volato nel cielo e da lassù deve vegliare sui figli. Il pensiero in questo momento va ai suoi tre ragazzi (di 7, 10 e 11 anni, ndr) e al loro futuro”. I tre ragazzini quel giorno non hanno assistito alle violenze che, probabilmente in un modo o nell’altro, hanno determinato la morte di Fortuna. Erano con la nonna, in cortile, mentre il padre picchiava la loro mamma. Un lungo e accorato applauso ha accolto il feretro di Fortuna all’uscita dalla chiesa, prima che iniziasse il suo ultimo viaggio.

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