Record di profughi, l’Unhcr contro il decreto sicurezza

Una donna afghana con due secchi d'acqua in mano, in un campo profughi.
Una donna afghana con due secchi d'acqua in mano, in un campo profughi. Archivio.EPA/JALIL REZAYEE

ROMA. – Mai come oggi si fugge da guerre e persecuzioni nel mondo: oltre 70 milioni di persone nel 2018, il numero più alto dalla Seconda guerra mondiale. E’ l’allarme lanciato dall’Unhcr, che osservando il Mediterraneo prende di mira la politica migratoria italiana.

La stretta sulle ong, avverte l’Alto commissariato Onu per i rifugiati, provoca l’aumento dei morti in mare. Motivo di più per aprire un porto alla Sea Watch, bloccata da venerdì a largo di Lampedusa con decine di naufraghi a bordo.

Il 20 giugno si celebra la Giornata Mondiale del rifugiato. E l’Unhcr, nel suo rapporto annuale, per dare la portata dell’emergenza segnala che i 70,8 milioni in fuga l’anno scorso sono il doppio di 20 anni fa: una stima per difetto, senza considerare la crisi in Venezuela nel complesso. Più di un terzo sono rifugiati, uno su due un minore (un dato evidenziato anche dal Vaticano sull’Osservatore Romano), provenienti da paesi in conflitto cronico come Siria, Somalia e Afghanistan.

L’Onu è preoccupata perché vede una “tendenza nel lungo periodo all’aumento delle persone in fuga in cerca di sicurezza”, ha segnalato l’Alto commissario Filippo Grandi, puntando su due aspetti contrapposti: da un lato, un certo “linguaggio sui migranti che tende spesso a dividere”; dall’altro, “manifestazioni di solidarietà e generosità” grazie anche al “coinvolgimento senza precedenti di nuovi attori”.

Nuovi attori come le ong, che soccorrono i migranti nella terra di nessuno delle acque internazionali, soprattutto nel Mediterraneo. L’Unhcr lo ha detto chiaramente, condannando l’Italia per la politica dei porti chiusi del governo giallo-verde, inasprita con il decreto sicurezza bis, che ha stabilito multe salate per le navi che non rispettano il divieto di ingresso in acque italiane: “Il decreto ci preoccupa molto, riteniamo che l’aumento del tasso di mortalità nel Mediterraneo sia direttamente dovuto all’assenza di un dispositivo strutturato di ricerca e salvataggio”, ha sottolineato Carlotta Sami, portavoce Unhcr per il Sud Europa.

Nel 2018, rileva il rapporto, una persona ogni 14 arrivate in Europa lungo la rotta della Libia ha perso la vita in mare, una media di 6 al giorno. In questo quadro l’Alto commissariato (così come l’Oim) ha lanciato un appello perché venga aperto un porto alla Sea Watch 3, imbarcazione dell’ong tedesca che da giorni naviga avanti e indietro tra la Libia e Lampedusa con 43 migranti a bordo dopo che l’Italia ha autorizzato lo sbarco soltanto di donne incinte, bambini e malati gravi.

E mentre il comandante denuncia “problemi di disidratazione a bordo”, l’Onu teme che tornino in Libia, considerata un “porto non sicuro” perché “c’è la guerra”. Roma tuttavia non arretra, rivendicando la legittimità delle sue scelte. Il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha accusato la Sea Watch di “fregarsene delle leggi e delle vite, perché è in mare da giorni” e sarebbe potuta sbarcare in altri paesi “come la Turchia”. Allo stesso modo il collega delle Infrastrutture Danilo Toninelli ha ricordato che l’ong ha ricevuto l’aiuto della Guardia costiera libica, ma “ha deciso di voltarsi dall’altra parte e andare verso l’Italia”.

A questo punto una soluzione potrebbe essere l’offerta di 50 comuni tedeschi di accogliere i migranti della nave tedesca. Nel frattempo 45 migranti, fra cui due bambini e una donna incinta, sono stati recuperati sotto costa a Lampedusa dalla Guardia costiera e della Guardia di finanza italiane e portati all’hotspot. Sarebbero originari di Senegal, Costa d’Avorio, Kenya e Somalia.

(di Luca Mirone/ANSA)

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