Breaking News: la pizza è nata a Buenos Aires!

BUENOS AIRES – “E’ un prodotto autentico argentino, la pizza? Possiamo definirla ‘la nostra pizza’?” Con queste due domande singolari e inquietanti i giornalisti Joaquín Hidalgo e Martín Auzmendi hanno pubblicato un libro “col botto”: Nuestra Pizza.

La prima domanda non merita risposta. Non merita neanche di essere fatta, scritta o pensata, se non da un popolo sicuramente eccezionale su numerosi fronti ma marcatamente nazionalista quando si tratta di gastronomia. Ma fin qui è facile.

La seconda domanda, invece, benché anch’essa un pò sconcertante, nasconde un argomento di grande interesse storico. Cosa succede al cibo “autentico” italiano quando lascia la madrepatria, se ne va per le rotte degli emigrati e raggiunge luoghi lontani, e un po’ isolati, nei quali prende una vita a sé?

Esiste per esempio -e oramai è accettata e accertata- la “pizza brooklyn style”, che ha la sua storia, i suoi libri, i suoi guru, i suoi templi. Ha, in altre parole, una sua identità e “autenticità”, almeno per i milioni di americani che la adorano. Non potrebbe esistere anche una pizza “stile argentino”, si chiedono i due giornalisti.

A dire il vero, i dubbi e le domande un pò strambe sono tante. Un articolo del 2017 de La Nación  sancisce che poiché l’origine della pizza è “dudosa” potrebbe benissimo ritenersi un piatto americano. Anzi, argentino. In fondo, sottolinea l’articolo, c’erano già pani ovali e un po’ schiacciati divisi in otto spicchi ai tempi dei romani. Il pane l’hanno inventato gli egiziani, i pomodori vengono dall’America, cosa vorranno mai, questi napoletani?

La pizza, sempre secondo il giornale, è un piatto “que se sabe milenario”. I napoletani hanno solo scritto una puntata della sua lunga storia, ma sono gli argentini ad averla completata e migliorata. E pazienza per l’Unione Europea che ha denominato ETG la pizza napoletana, pazienza per l’UNESCO che ha riconosciuto Patrimonio Culturale dell’Umanità l’arte del pizzaiolo. Pazienza per l’Unità d’Italia e l’omaggio tricolore che Raffaele Esposito fece alla Regina d’Italia Margherita di Savoia.

La pizza cari miei, quella buona, è nata a Buenos Aires, anzi in Avenida Corrientes, e se qualche storico straniero -adepto da quelle sfogliette spesso striminzite con qualche fettina di latte di bufala processato disposta sopra a mo’ di condimento che fanno a Napoli- non se ne vuole fare una ragione, fatti suoi.

Convinzioni tetragone e fantasie storiche a parte, la “pizza argentina” in effetti esiste e ha delle caratteristiche precise che non vengono dal desiderio dell’ ottimizzazione gastronomica  ma piuttosto dalla necessità di rivincita sociale presente negli ambienti di emigrati.

La prima caratteristica della pizza argentina è dunque l’abbondanza di formaggio morbido di mucca che la ricopre fino ai bordi. Si chiama “muzzarella” con la “u”. Qui, fin dal secolo scorso, il latte di mucca era abbondante e per chi scappava dalla fame “tanto” era uguale a “buono” e venire “a fare l’America” significava tra l’altro diventare così ricchi da non dover lasciare senza condimento neanche i bordi della pizza.

La seconda caratteristica peculiare della pizza argentina è l’impasto, fatto da quella che si chiama “media masa”, una specie di pane lievitato e schiacciato. Su questo si trovano varie spiegazioni: una che ci pare attendibile sostiene che gli argentini, i quali negli anni Trenta erano effettivamente grandi innovatori e proiettati al futuro, abbiano trovato “moderna” l’idea di far lievitare la pizza più in fretta e con i nuovi lieviti industriali.

Terza caratteristica: la pizza argentina è  “genovese” . Infatti, benché arrivata con gli emigrati del sud, si diffuse all’inizio nei barrios de La Boca, di netta maggioranza appunto ligure. Nella storia scritta dei primi anni della pizza argentina degli anni ‘80 e ‘90 dell’Ottocento ci sono il genovese Nicola Vaccarezza (aprì il primo forno a La Boca), il genovese Ricardo Ravadero (fu fotografato a vendere pizza per strada) e il… genovese Agustín Banchero, che nel 1893 aprì “Riachuelo”, sempre nella Boca, dove inventò nientemeno che la Pizza Fugazzetta, un incrocio tra la “focaccetta” di cipolle genovese e la pizza.

Il grande successo delle pizzerie arrivò negli anni Trenta in Avenida Corrientes, quando mangiare fuori la notte tardi era parte del programma di divertimento al quale i  porteños anche di origini più modeste non volevano rinunciare. Negli anni Quaranta e Cinquanta però, tutto il business della ristorazione fu conquistato dai laboriosi “gallegos”  che scappavano affamati dalla Galizia. Anche le pizzerie passarono in mano loro e così la pizza argentina assunse un’altra delle sue caratteristiche peculiari: passò dalla teglia alla “padella”, che qui si chiama “molde“ (stampo).

L’origine “fusion” della pizza spiega come mai il “trio indissolubile” sia ancora oggi “Moscato, Pizza e Fainà”, come ricorda un brano dei ‘Memphis la blusera’, tra i gruppi rock pù’ noti dell’Argentina, dove la “faina” è la farinata di ceci e si mangia sovrapposta alla pizza, a conferma che a Buenos Aires il ‘melting pot’ si serve anche a tavola.

Anna Lanzani

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