Trump: “Sì allo Stato palestinese, ma Gerusalemme è di Israele”

Il Presidente americano Donald J. Trump con il Primoministro d'Israele Benjamin Netanyahu.
Il Presidente americano Donald J. Trump con il Primoministro d'Israele Benjamin Netanyahu. EPA/MICHAEL REYNOLDS

WASHINGTON. – Donald Trump lancia la sfida per la pace in Medio Oriente con una mossa a sorpresa: sì alla soluzione dei due Stati, ma Gerusalemme resta la capitale “indivisa” di Israele. La risposta, unanime, dei palestinesi è una bocciatura.

Il presidente americano è tornato a spiazzare tutti rispolverando uno scenario – la nascita della Palestina – che per la Casa Bianca sembrava definitivamente accantonato, e che invece ora riavvicina la visione di Washington, almeno in parte, a quella degli alleati europei.

Una carta che il tycoon avrebbe deciso di giocare nelle ultime settimane di messa a punto del piano, per tentare di sbloccare una volta per tutte l’impasse ed evitare che tre anni di duro lavoro si risolvessero nell’ennesimo fallimento. Durante l’annuncio davanti alle telecamere di tutto il mondo al fianco di Trump c’era il premier israeliano, l’amico Bibi Netanyahu.

La sintonia tra i due è perfetta, anche se la proposta targata Trump rischia di passare alla storia come l’ennesimo piano della discordia. E sebbene in molti leggano nello show alla Casa Bianca più un modo per i due leader di distogliere l’attenzione dalle rispettive grane personali che un tentativo reale di portare la pace in Medio Oriente. Per il tycoon si tratta comunque di “un’occasione storica” e di “un grande passo verso la pace”: “La gente in quella regione del mondo, soprattutto i giovani, è pronta per un futuro migliore”.

Ma Trump ha parlato anche di “ultima possibilità” per il Medio Oriente. Un monito, quest’ultimo, contenuto nella lettera inviata al presidente dell’Autorità nazionale palestinese Abu Mazen, che in serata ha bollato il piano americano come “una cospirazione che non passerà” perché “Gerusalemme non si baratta”, mentre la Giordania ha messo in guardia dalle “conseguenze pericolose di qualsiasi misura unilaterale possa essere adottata da Israele”.

Scontata la bocciatura di Hamas, che ha convocato per venerdì una “giornata di collera” promettendo “resistenza armata” per la difesa dei diritti palestinesi.

Il presidente americano nella sua missiva ad Abu Mazen ha ribadito l’offerta di 50 miliardi di dollari di investimenti per i palestinesi e dettato i tempi parlando di quattro anni per negoziare, un arco di tempo durante il quale verranno congelati gli insediamenti israeliani. Questo a patto che i palestinesi riconoscano definitivamente Israele come “Stato ebraico”, rinuncino al terrorismo e accettino che il loro Stato sia smilitarizzato.

Netanyahu, nelle parole di Trump, ha riconosciuto il piano Usa come “una base per negoziati diretti”. Ma la tv israeliana in serata ha annunciato un voto già domenica da parte del governo israeliano sull’annessione unilaterale della Valle del Giordano e delle colonie ebraiche in Cisgiordania. Una prospettiva ovviamente inaccettabile per i palestinesi, che hanno già minacciato di uscire dagli accordi di Oslo.

Al di là delle reazioni a caldo, è difficile dire se le novità contenute nel dettagliato piano di 80 pagine a cui per mesi e mesi ha lavorato il genero del tycoon, Jared Kushner, possano portare a qualcosa dopo decenni di inutili tentativi.

Anche perché nelle parole di Trump sono in molti a scorgere una certa ambiguità, se non una palese contraddizione: se da un lato, infatti, il presidente americano ha evocato la possibilità di Gerusalemme Est come capitale del futuro Stato di Palestina, impegnandosi ad aprire proprio lì un’ambasciata Usa, dall’altro ha ribadito come “Gerusalemme resta e resterà per sempre la capitale indivisa di Israele”.

(di Ugo Caltagirone/ANSA)

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