Rinascimento marchigiano, l’arte resiste al sisma

Particolare di un'opera d'arte della mostra itinerante "Rinascimento marchigiano. Opere d'arte restaurate dai luoghi del sisma".
Particolare di un'opera d'arte della mostra itinerante "Rinascimento marchigiano. Opere d'arte restaurate dai luoghi del sisma". (ANSA)

ROMA. – I colori caldi e la preziosità dell’oro nelle tavole con le Scene della vita di Santa Lucia dipinte da Jacobello del Fiore e provenienti dal Palazzo dei Priori di Fermo; il gioco di gesti e sguardi dell’imponente Visitazione di Giovanni Baglione del Santuario di Santa Maria delle Vergini di Macerata; la resa perfetta dei tessuti decorati nella Madonna adorante il Bambino e angeli musicanti di Vittore Crivelli, conservata alla Pinacoteca Civica di Sarnano.

E poi, accanto a questi capolavori d’arte strappati alla violenza distruttrice del terremoto, anche opere che fungono da testimonianza tangibile della devozione popolare o che sono simboli di ciò che non sarà più, come l’olio su tela dipinto da un anonimo artista con i Santi Pietro e Paolo, un tempo custodito nella chiesa della frazione Capodacqua di Arquata del Tronto, ormai irrimediabilmente distrutta.

Arriva a Roma, dopo la prima tappa di Ascoli Piceno, la mostra itinerante “Rinascimento marchigiano. Opere d’arte restaurate dai luoghi del sisma”, in programma al Complesso Monumentale di San Salvatore in Lauro del Pio Sodalizio dei Piceni dal 18 febbraio al 5 luglio.

Esposte nel percorso 36 opere d’arte – tra dipinti, arredi e sculture – databili tra il ‘400 e il ‘700, che sono state restaurate dopo il terremoto del 2016 e che sono tutte espressione della ricchezza culturale di un territorio di certo ferito, ma ancora vivissimo e pronto a difendere la propria identità.

A cura di Stefano Papetti e Pierluigi Moriconi, la mostra (che concluderà il suo viaggio in estate a Palazzo del Duca di Senigallia, dal 23 luglio al 3 novembre), è frutto della convenzione siglata tra Anci Marche e Pio Sodalizio dei Piceni, che insieme, con la collaborazione della Regione Marche, hanno permesso gli interventi di restauro delle opere presentate.

Fondamentale in tutto il progetto è stato l’apporto scientifico della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio delle Marche e delle Università di Urbino e di Camerino, grazie a cui ogni opera è stata restaurata in seguito ad accurate analisi diagnostiche utili non solo a riparare i danni subiti a causa del terremoto, ma anche per poter acquisire nuove conoscenze sulle tecniche e fare nuove attribuzioni.

Ideata subito dopo i tragici fatti del 2016, questa mostra è la chiara dimostrazione di quanto le Marche, pesantemente colpite nel loro patrimonio artistico mobile e immobile, abbiano voluto reagire tempestivamente. Per questo, secondo la soprintendente Marta Mazza, presente oggi a Roma, “è una mostra esemplare, perché si radica sulla attività di tutela svolta in modo sistematico sulle opere del patrimonio. Inoltre è espressione dell’energia e della vitalità della ricchezza culturale delle Marche”.

“Il progetto evidenzia poi quanto la tutela e il recupero siano per noi un work in progress”, prosegue, “dopo il sisma abbiamo creato ben 8 depositi, dei quali il più grande è ad Ancona, in cui custodire le opere terremotate che sono 15mila. Resta aperto ancora il tema dei ‘contenitori’ di queste opere, ossia di quei luoghi dove questi lavori dovrebbero tornare”.

“Le Marche sono state le più colpite dal terremoto, sia sui beni monumentali che su quelli mobili – afferma il curatore Pierluigi Moriconi – Purtroppo di tutte le opere che abbiamo recuperato solo una piccola parte tornerà nelle loro case: noi comunque cercheremo di restaurarle tutte”.

(di Marzia Apice/ANSA)

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