Primo stipendio con coronavirus, nodo cash per imprese

Una lavoratrice di uno stabilimento Mc Donald's
Una lavoratrice di uno stabilimento Mc Donald's. (ANSA)

ROMA.  – “Il problema principale delle imprese adesso è la liquidità: senza non possono pagare i fornitori e chissà, a breve, non potranno neanche pagare i loro dipendenti”: l’ultimo a lanciare l’allarme è Emanuele Orsini, il leader della federazione di Confindustria delle imprese del settore del legno e dell’arredo.

Già da tempo Confindustria ha indicato al Governo che l’emergenza liquidità deve essere la priorità per le misure di sostegno alle imprese sul fronte dell’emergenza coronavirus.

Ogni rischio è legato all’eventualità che la paralisi del sistema produttivo possa protrarsi a lungo. Non ci sarebbe una emergenza immediata, non oggi mentre gli italiani si apprestano a ricevere la prima busta paga dal momento in cui è esplosa l’emergenza.

Per i prossimi mesi – spiegano fonti del sistema bancario – le misure del decreto Cura Italia permetteranno alle imprese, almeno quelle ‘sane’ prima dell’emergenza coronavirus, di far fronte alle scadenze indifferibili: le linee di crédito accordate non sono infatti del tutto utilizzate e sono di aiuto la flessibilità accordata da vigilanza Bce e Banca d’Italia, la moratoria sui prestiti già accordati, il rafforzamento delle garanzie pubbliche sul credito.  Peraltro, con la contrazione economica, la domanda di nuovi finanziamenti sarà contenuta.

Il decreto Cura Italia “appare inadeguato, nella dimensione e nelle modalità applicative, a far fronte alla drammatica crisi di liquidità che stanno affrontando le imprese italiane” avverte anche il presidente di Assonime, Innocenzo Cipolletta, in un documento presentato al Senato dall’associazione delle società quotate.

Il problema non è ovviamente limitato ai salari, anzi, investe tutto il meccanismo vitale per le imprese dell’equilibrio tra entrate e uscite, ricavi e costi. Confindustria lo ha sottolineato già con il primo approfondimento sulle misure “per una reazione immediata”, un documento di quattordici pagine inviato al Governo la scorsa settimana: sollecita “interventi urgenti per il sostegno finanziario delle imprese piccole, medie e grandi”.

E domenica scorsa, con una lettera al premier sulle criticità dello stop alle attività non essenziali, il presidente Vincenzo Boccia ha indicato come “determinante” la necessità di “sciogliere immediatamente il nodo del credito e più in generale della liquidità”, per evitare “conseguenze irreversibili”: “Già oggi percepiamo – ha sottolineato – la gravità dell’impatto sulla liquidità che le imprese tutte stanno già subendo”.

Il meccanismo è lapalissiano: con un “fatturato zero”, un “fatturato dell’Italia che non fa. Non si produce e non si vende” – per usare le parole con cui in questi giorni il presidente di Confindustria ha ribadito il problema – si fermano i flussi di cassa, non entrano soldi e le aziende rischiano di trovarsi nella condizione di non poter pagare i costi fissi, come rate di mutui, affitti, tasse, salari.  Quanto serve? “Dipende da azienda ad azienda”, “certo, parliamo di numeri nell’ordine di miliardi”.

Per far sopravvivere le imprese serve una iniezione di liquidità – sollecitano gli industriali -: non risorse a fondo perduto ma un flusso di credito garantito dallo Stato, un “debito di guerra” da ripagare “in trent’anni”.

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