Inflazione in Venezuela, una storia “senza fine”

CARACAS – L’ inflazione in Venezuela si ripete ciclicamente, anno dopo anno, dal 2013. Da quando, cioè è passata dal 25% a livelli superiori. Fino a registrare quelli stratosferici che oltrepassano il 130 mila per cento, secondo i dati ufficiali.

La sua crescita incontrollata, coincidono gli economisti, è il frutto della politica centrata sul controllo statale dell’economia. E l’inondazione del mercato di denaro inorganico, che fa schizzare la domanda di beni alla quale l’offerta non è capace di rispondere. E, così, crescono i prezzi. È una spirale senza fine: il governo decreta continui aumenti di stipendi; più denaro alla ricerca di prodotti inesistenti. S’innalzano i costi di produzione che sono inesorabilmente trasferiti al consumatore. E la spirale si retro-alimenta. Con la moneta locale distrutta dall’inflazione e i beni immobili (case, auto, terreni, fabbriche) svalutati dalla recessione, il dollaro diventa l’oggetto del desiderio. E decolla come un razzo, soffiando sul fuoco del caro-vita.

In soli due anni la valuta statunitense schizza da 4,41 bolivares a 188.000 bolivares, – informa il portale “Dólar Today” -, con una crescita de 4,1 milioni per cento e riflessi micidiali sull’inflazione. Dal novembre 2017 il paese è entrato ufficialmente in iperinflazione.

Inflazione, molto denaro e pochi prodotti

“Le cause dell’inflazione in Venezuela sono due: la riduzione dei prodotti e servizi e l’incremento dell’offerta monetaria o monetizzazione del deficit fiscale”, riassume alla “Voce” l’ex decana della facoltà di Economia dell’Università Centrale del Venezuela, Sary Levi.

L'inflazione ha trasformato la valuta nazionale in carta-straccia. Banconote di bolivares nel cestino della spazzatura. (REUTERS/MARCO BELLO)
L’inflazione ha trasformato la valuta nazionale in carta-straccia. Banconote di bolivares nel cestino della spazzatura. (REUTERS/MARCO BELLO)

Coincidono i più noti economisti, che attribuiscono a queste due elementi le ragioni del rincaro dei prezzi in epoche diverse.

Dopo essersi contenuta attorno al 25 per cento annuale nel periodo 2009-2012, la crescita dei prezzi è saltata al 56,2 per cento nel 2013, al 68,5 per cento nel 2014 e al 180 per cento en 2015.

Questo fenomeno, spiega l’economista Pedro Palma, è il prodotto della somma di alcuni elementi, tra i quali i più importanti sono “una politica di spesa fiscale espansionista che ha provocato gravi squilibri nella finanze pubbliche, l’indebitamento interno ed esterno, il trasferimento di ingenti fondi degli organismo pubblici e monetizzazione del deficit del settore pubblico con una pesante creazione di denaro”

“Gli eccessivi aumenti dell’offerta monetaria – indica Palma – non sono stati accompagnati da incrementi simili nell’offerta di beni e servizi. Da qui la pressione sui prezzi e l’effetto inflazionistico”.

La spesa pubblica, precisa Palma, è stata destinata in buona parte al finanziamento dei programmi di carattere sociale, al sussidio alla vendita di carburante a basso prezzo ai paesi alleati dell’Alba e Petrocaribe e a pagare il debito con la China.

Espropri e perdite

La politica “populista” del governo, messa in pratica fin dal 2005, si è tradotto in una presunta “lotta al latifondo”. Quindi, con esproprio di cinque milioni di ettari di terre produttive – sono cifre ufficiali- e la nazionalizzazione di oltre 1.300 aziende private nell’ambito petrolifero, dell’acciaio, del cemento, alimentari, aziende agricole e trasporti, stando ai calcoli del “Centro di Divulgazione della Conoscenza Economica per la Libertà” (Cedice).

Palma segnala che questa “serie di azioni governative hanno colpito l’apparato produttivo privato con multe, confisca, chiusure obbligate, espropri così come con l’imposizione di controlli sui prezzi e limiti all’accesso alla valuta. Ciò scoraggia gli investimenti, limita l’espansione e la diversificazione della produzione, e l’aumento della produttività”.

Molte industrie ora amministrate dal governo – 520 secondo l’Ong “Transparencia Internacional” e 70 secondo il presidente Maduro) sono in “rosso” e le perdite assorbono fondi pubblici, così come lo fanno i sussidi al carburante (praticamente regalato) e i frequenti aumenti salariali.

Pochi dollari e pochi prodotti

L’emissione di denaro inorganico e la conmtrazione dell’economia che accompagna il paese dal 2012 (25 trimestre consecutivi) portano il rincaro di prezzi al 240 per cento nel 2016 (550 per cento segnala il Parlamento) e all’860 per cento nel 2017. È un incremento superiore al 50 per cento mensile. Quindi, tecnicamente si parla di iperinflazione.

Effetto inflazione: più bolivares per meno uova
Effetto inflazione: più bolivares per meno uova

Questo panorama, di per sé già inquietante, è aggravato nel 2018 con la riduzione della produzione petrolifera di quasi un milione di barili al giorno (cifre Opec) e con l’impennata del dollaro che, da gennaio a dicembre, schizza da 120.000 bolivares a 73 milioni 97 mila bolivares.  Con l’emissione delle nuove banconote ad agosto, alle quali vengono tolti ben cinque zeri dal mese di agosto, il dollaro si cambia a 730,97 bolivares. Ma è solo una operazione di estetica che, nel fondo, non cambia nulla.

Con le banconote locali diventate carta straccia ed il dollaro come unico rifugio di fronte all’inflazione, i venezuelani si riversano sulla valuta statunitense. Nel 2019, la Banca Centrale registra un aumento dei prezzi del 9.585,5% ed una media di 53.798.500% negli ultimi tre anni (2016 – 2019). E il 2020 non sembra essere molto diverso. L’aumento del 250% del dollaro, nei primi quattro mesi e la depressione economica a causa del coronavirus, non permettono di vedere il futuro con ottimismo. Al contrario…

“Prosegue il processo inflazionistico con la monetizzazione del deficit fiscale. Il governo non può più valersi del debito. Quindi, si approfondisce la restrizione dell’offerta di beni, mentre la moneta si deprezza”, commenta Levy.

Aspettative negative

La firma “Síntes Financiera” nel suo rapporto sull’andamento del 2020, commenta che “crescono le aspettative di un peggioramento nell’economico nazionale”. Dal canto suo, Luis Vicente León, direttore di Datanálisis, sottolinea che “l’impatto della svalutazione è quasi automatico sull’inflazione e non si tratta solo di quanto si deprezza il bolívar perché i prezzi si fissano in base alle aspettative sull’inflazione”.

Aggiunge che “il mercato cambiario riflette l’inefficienza dell’economia del paese. Ad esempio, che l’industria venezolana lavori al 30% della sua capacità”.

Secondo Confindustria, negli ultimi 20 anni, l’infrastruttura si è ridotta da 15.000 a 7.000 complessi industriali. Nell’ambito manifatturiero, sarebbero ancora operative circa 3.000 aziende su 11.000.

“La spesa pubblica finanziata dalla Banca Centrale continua provocando inflazione e svalutazione. Questo continuerà per il resto dell’anno senza alcun dubbio. Soprattutto adesso che i prezzi del petrolio sono crollati. La produzione del greggio è crollata ad appena 800 mila barili e nuovi elementi che spingono l’incremento dei prezzi. Ad esempio, la mancanza di benzina e la scarsa offerta di prodotti”, ha denunciato il deputato Angel Alvarado nel Parlamento. Di fatto, il Fondo Monetario Internazionale stima un tasso d’ inflazione del 15.000 per cento nel 2020 per il Venezuela.

Controllo di prezzi e inflazione

Di fronte a un panorama così allarmante, il governo di Nicolas Maduro ha deciso di tornare al ferreo controllo dei prezzi che vige nel paese in forma intermittente da oltre 15 anni.

Insomma, si rispolvera la “Ley Orgánica de Precios Justos”, una legge ispirata da buone intenzioni, ma che, come insegna l’esperienza, ottiene l’effetto contrario.

L'iper-inflazione ha provocato la dollarizzazione dell'economia
L’iper-inflazione ha provocato la dollarizzazione dell’economia

“Il controllo dei prezzi è una politica che raramente ottiene benefici. Può avere un effetto positivo nell’immediato, ma non a lunga scadenza. L’inflazione è un segnale ma non la causa. Bisogna correggere le deformazioni di fondo dell’economia e favorire il processo produttivo”, ragiona la professoressa Levy.

– Il Governo accusa agli imprenditori di scatenare una “guerra economica” che provoca l’inflazione per sovvertire il paese, cosa ne pensa?

– Sono schemi usati da coloro che non vogliono risolvere un problema ma solo nasconderlo sotto un’etichetta – assicura -. Semmai, in questo caso. si tratterebbe di una guerra interna provocata dall’imposizione di un modello politico-economico.

– Come potremmo definire questo modello?

– Non c’è bisogno di sforzarsi molto su questo aspetto – ci dice con un po’ di ironia -. Il governo già lo ha definito come la “Rivoluzione Socialista del Secolo XXI”.

Roberto Romanelli