Il governo s’appresta alla conquista del Parlamento

Colpo di scena ad effetto. La decisione dell’Alta Corte si dava per scontata. Ma, anche così, è stata accolta come un fulmine a ciel sereno. Luis Parra è stato definitivamente confermato presidente del Parlamento. Il “TSJ”, inoltre, ha dichiarato illegale la costituzione di qualunque “Parlamento ombra”. E minacciato di sanzioni chiunque, azienda o ente privato, permetta ai deputati di riunirsi, prestando i propri locali.

L’Opposizione considera senza fondamento la decisione dell’Alta Corte. Come già fatto in altre occasioni, accusa il governo di promuovere un “Golpe” parlamentario. E ricorda che il giorno dell’elezione dei vertici del Parlamento, ai deputati dell’Opposizione, che rappresentano la maggioranza, fu negato l’accesso all’emiciclo. Furono obbligati dalle circostanze, a realizzare una “loro” sessione presso la sede del quotidiano “El Nacional”.

L’Alta Corte ha reso nota la sua decisione in un momento particolarmente delicato del Paese. Il Venezuela, oggi, non solo vive una crisi politica e istituzionale. È anche allo stremo nell’ambito economico e sociale. Messo in ginocchio dalla mancanza di carburante, dalla deficiente offerta di servizi pubblici – leggasi, acqua, gas ed elettricità – e dalla pandemia, soffre le conseguenze di quasi vent’anni di corruzione e inefficienza ad ogni livello. Sono sufficienti poche cifre per illustrare le dimensioni della crisi. L’Onu calcola in quasi 5 milioni la diaspora venezolana. Secondo l’indagine Encovi, oltre l’80 per cento delle famiglie venezuelane vive in condizione di povertà. Più della metà rientra nei parametri della povertà estrema. Il Prodotto Interno Lordo, poi, da quasi 10 anni si contrae progressivamente senza sosta e a ritmi inimmaginabili. Dal 2013 al 2019 la sua riduzione, stando agli esperti in materia, è stata del 70 per cento. Quest’anno, sebbene alcuni economisti anticipano una riduzione del 15 per cento, organismi autorevoli come la Cepal pronosticano una contrazione del 18, 20 per cento. Ma non è tutto. Organismi imprenditoriali stimano la capacità produttiva dell’industria inferiore al 30 per cento. I complessi produttivi si sarebbero ridotti della metà, da 15mila unità a 7mila. E le fabbriche ancora operative da 11mila ad appena 3mila. Il tasso d’inflazione, ai giorni d’oggi, è pressoché incalcolabile. Il Fondo Monetario Internazionale lo stima in un 15mila per cento. Ma sono valutazioni destinate a cambiare.

In questo contesto economico, il governo del presidente Maduro è obbligato ad attingere dai mercati internazionali le risorse che possano assicurare il rifornimento di alimenti e beni essenziali. Provvedimenti economici orientati non a correggere gli squilibri ma a fornire elementi per una narrativa populista della realtà politica ed economica, l’isolamento internazionale provocato dal drastico regime di sanzioni messo in campo dagli Stati Uniti e la contrazione dei prezzi del petrolio sono gli ingredienti di un cocktail esplosivo che il governo Maduro cerca di disinnescare. L’aiuto di Cina, Russia e ora dell’Iran è destinato ad estinguersi. Per ottenere alcun risultato sui mercati internazionali, il governo ha bisogno dell’autorizzazione del Parlamento. Senza di essa, nessun ente concederà prestiti. È fuor di  dubbio che il Parlamento presieduto da Juan Guaidó avrebbe negato qualunque autorizzazione d’indebitamento.

Il governo del presidente Maduro, quindi, si appresta alla conquista dell’unico bastione dell’Opposizione: il Parlamento. Lo perse nel 2015, quando l’Opposizione riuscì ad ottenere la maggioranza relativa contro ogni pronostico. La decisione del “TSJ”, resa nota nei giorni scorsi, rappresenta solo un primo passo.

L’elezione del nuovo Parlamento, se non vi saranno improbabili dilazioni, dovrebbe avvenire a dicembre. Partito di governo ed opposizione, in circostanze normali, si affronterebbero dando vita alla dialettica politica propria dei paesi democratici. Ma non viviamo circostanze normali. Da un lato vi è l’amministrazione di Maduro, forte del sostegno delle forze armate e di un sistema elettorale asservito ai propri interessi. E dall’altro un’opposizione debole, divisa, senza un progetto comune e con frange estreme che invocano un ’intervento armato degli Stati Uniti, che non gioverebbe al Paese. Tantomeno alla stabilità democratica dell’America Latina.

Nel 2015 il trionfo dell’Opposizione fu il frutto di uno sforzo unitario. L’opposizione, amalgamata attorno alla “Mesa de la Unidad”, realizzò un lavoro politico capillare, orientato specialmente a persuadere gli elettori meno abbienti. Con un messaggio senza stonature riuscì a dare l’immagine di una forza alternativa, capace di offrire una soluzione alla crisi. Il trionfo fu tale che il governo dovette accettarlo suo malgrado.

Oggi l’Opposizione offre una immagine di confusione e di disgregazione. Non quella di unità nella diversità ma di litigiosità senza spazio di consenso. Per l’Opposizione ritrovare il cammino verso l’unità sarebbe l’unica via per evitare la débâcle parlamentaria. Per presentarsi al prossimo appuntamento elettorale con un minimo di credibilità sarà indispensabile un programma per la ricostruzione del Paese, comune e credibile. Soprattutto, riuscire ad ispirare fiducia e quindi a convincere gli elettori. Non è impossibile e neanche troppo tardi.

Mauro Bafile

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