Turchia condanna ex vertici Amnesty per terrorismo

Un cartellone con la figura ritagliata di Taner Kilic portata da manifestanti durante una protesta di Amnesty International per la sua liberazione.
Un cartellone con la figura ritagliata di Taner Kilic portata da manifestanti durante una protesta di Amnesty International per la sua liberazione. EPA/MARKUS HEINE

ISTANBUL.  – La Turchia condanna per “terrorismo” gli ex responsabili di Amnesty International nel Paese. In un processo simbolo delle pressioni sulla società civile dopo il fallito golpe del 2016, un tribunale di Istanbul ha ritenuto colpevoli in primo grado 4 degli 11 attivisti per i diritti umani alla sbarra.

Tra loro, i due ex vertici dell’ong: il presidente Taner Kilic, cui è stata inflitta una pena di 6 anni e 3 mesi per “associazione terroristica”, e la direttrice Idil Eser, condannata a 2 anni e un mese per “sostegno a un’organizzazione terroristica”.

Entrambi dovrebbero restare a piede libero, in attesa dell’appello. Una sentenza “sconcertante”, la definisce Amnesty, che parla di una “parodia di giustizia”. Assolti invece gli altri 7 imputati, tra cui 2 stranieri, il tedesco Peter Steudtner e lo svedese Ali Gharavi, che avevano già potuto lasciare il Paese.

A parte Kilic, inizialmente processato a Smirne e tenuto per 14 mesi in carcerazione preventiva fino all’agosto 2018, gli imputati erano stati inizialmente fermati per una riunione del 2017, nell’isola di Buyukada al largo di Istanbul, ritenuta eversiva dai magistrati. Tutti si sono sempre dichiarati innocenti. Si conclude così uno dei processi di più alto profilo contro attivisti indipendenti e critici verso il governo di Recep Tayyip Erdogan.

In quello che a molti è apparso un paradosso, la decisione contro Amnesty è giunta nello stesso giorno in cui la Turchia ha avviato il suo processo per la brutale uccisione di Jamal Khashoggi.

Un’iniziativa dal valore soprattutto simbolico, visto che i 20 imputati sauditi, che rischiano una condanna all’ergastolo per aver ordinato, organizzato o eseguito il delitto il 2 ottobre 2018 nel consolato di Riad a Istanbul, sono tutti processati in contumacia, dopo che il Regno ha respinto le richieste di estradizione.

Tra questi ci sono due fedelissimi del principe ereditario Mohammed bin Salman, il suo ex consigliere per i media Saud al-Qahtani e l’ex numero 2 dell’intelligence Ahmed al-Assiri.

Nel processo che si era svolto a Riad, erano state pronunciate 5 condanne a morte e altre 3 a pene detentive.  Ma lo scorso maggio i figli di Khashoggi hanno dichiarato di “perdonare” gli assassini, aprendo così la strada alla concessione della grazia o a sconti di pena, spinti secondo molti da pressioni e favori della casa reale.

In aula a Istanbul si tornerà il 24 novembre per un processo che secondo la relatrice speciale dell’Onu sulle Esecuzioni extragiudiziali, sommarie o arbitrarie, Agnes Callamard, “è un messaggio forte ai dittatori in tutto il mondo”.

Nel frattempo, la promessa sposa dell’editorialista del Washington Post, Hatice Cengiz, promete di continuare a “cercare giustizia con tutti i mezzi possibili, in Turchia e in qualunque altro posto”. Nella speranza almeno di far luce sui resti della vittima, che non sono mai stati ritrovati.

(di Cristoforo Spinella/ANSA)

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