Nasce il “Piano Marshall europeo” contro la pandemia: una grande vittoria (e alcune insidie)

Nasce il "Piano Marshall" europeo

All’alba di martedì 21 luglio, dopo giorni di dure trattative dall’esito incerto, il sole di Bruxelles si tingeva di radiose tinte europeiste: nasceva il “Fondo di ricostruzione” europeo, un pacchetto di 750 miliardi di euro da erogare in più tranche, presumibilmente tra il 2022 e il 2023, finanziato dai 27 stati membri UE, al fine di salvare l’economia continentale di fronte alla terribile crisi del Covid-19.

Un vero e proprio spartiacque nella storia del processo d’integrazione europea, un evento del tutto inimmaginabile sino a pochi mesi fa. La speranza è che si dimostri un trampolino di lancio per una politica espansiva, in controtendenza rispetto alle ingiuste politiche di austerity dello scorso decennio.

L’accordo per il “Recovery Fund” è stato paragonato al Piano Marshall del 1948, la famosa iniziativa con cui gli USA del Presidente Truman finanziarono la ricostruzione dell’Europa occidentale. Anche allora attraverso un programma di presiti e sussidi che si dimostrarono essenziali per dare il via al miracolo economico post-bellico (noi italiani sappiamo bene cosa significò per il Paese e per le nostre comunità nel mondo!) e a quello Stato sociale universale la cui importanza abbiamo saputo apprezzare in questi mesi di pandemia. A dimostrazione di quanto “politiche” siano le scelte di politica economica dei nostri governi.

Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte in aula della Camera,
Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte

Si tratta, dunque, di una vittoria per i Paesi più colpiti dalla pandemia, soprattutto Italia e Spagna. E in particolare per il PD e il PSOE; per noi democratici, progressisti, socialisti ed europeisti al governo a Madrid e Roma. E una sconfitta per gli anti-europeisti, per la destra xenofoba e disfattista italiana del “tanto peggio, tanto meglio”, vergognosamente alleata di personaggi gretti e fascitoidi come Marine Le Pen e Geert Wilders. Una destra incapace – e questo è anche il caso del PP spagnolo, in calo negli ultimi sondaggi – di difendere un interesse nazionale che più chiaro e semplice non può essere.

Attenzione però. Non illudiamo la popolazione che quest’operazione possa evitare il periodo di crisi in cui siamo immersi e che potrebbe ancora aggravarsi. Dobbiamo essere sinceri e riconoscere che andremo inevitabilmente incontro a mesi estremamente duri. La speranza di quest’intervento è che possa rafforzare e velocizzare la ripresa che potrebbe iniziare dalla seconda metà dell’anno prossimo, (Covid19 permettendo). Del resto, il 90% degli aiuti europei si prevede che inizino ad arrivare a partire da primavera/estate 2021.

 

Cosa ci guadagniamo?  Tre punti soprattutto.

 

  1. Italia e Spagna sono i Paesi che riceveranno i maggiori aiuti economici. Dei 750 miliardi di euro previsti, quasi la metà è solamente per Italia (208,8) e Spagna (140). Nel caso italiano, si tratta di 81,4 miliardi in sussidi a fondo perduto e 127,4 miliardi in prestiti (attuali tassi BCE sono praticamente nulli). Certo, il piano definitivo è di dimensioni inferiori a quelle richieste a inizio lockdown; ma, all’attuale stato delle cose, i Premier Conte e Sánchez non avrebbero certo potuto ottenere di più. In parte la partita a fondo perduto sarà finanziata tramite un aumento dei contributi al bilancio comunitario anche di Italia e Spagna, si stima ad esempio che l’Italia contribuirà indicativamente con 55 miliardi di euro, ma inizierà a pagare solo a partire dal 2028, a rate e condizioni molto favorevoli.
  1. Il pacchetto di aiuti UE non si limita al “Fondo di ricostruzione”. È molto più ampio. Oltre ai 750 miliardi del Fondo, vi sono i 240 miliardi del MES, i 100 miliardi del programma SURE, e i 200 miliardi della Banca Europea degli Investimenti. A tutto ciò, bisogna aggiungere i 1.350 miliardi di euro previsti dal PEPP della Banca Centrale Europea. La somma totale è di 2.640 miliardi di euro, ai quali vanno sottratti i versamenti di ogni Paese per finanziare molti di questi interventi, ma restano comunque la dimostrazione di uno sforzo comunitario importante, maggiore di altri attori internazionali.
Pedro Sánchez, presidente del Governo spagnolo
  1. Un cambiamento radicale di prospettiva: per la prima volta nella sua storia, l’Unione accetta la possibilità di emettere debito comune europeo per mezzo della Commissione (lo strumento “Next Generation EU”). Gli strumenti saranno lenti e poco trasparenti; ma considerato che la UE non è ancora uno Stato, difficilmente ci si poteva aspettare di più. Ma non solo: è necessario che questa nuova fase serva sia a cambiare il dibattito politico in Italia, caratterizzato negli ultimi anni da una pericolosa ascesa dell’euroscetticismo, sia a fare nascere, finalmente, uno spazio pubblico europeo centrato su una visione più neo-keynesiana del rapporto fra Stato e mercato.

 

A cosa dovremo ancora stare attenti?  Tre punti soprattutto.

 

1-Gli Stati settentrionali dell’UE si riprenderanno più velocemente e a quel punto potrebbero fare pressione sulla Commissione Europea per ripristinare il Patto di Stabilità che limita l’indebitamento dei Paesi. Il Vicepresidente della Commissione UE, Dombrovskis, ha infatti avvertito che sarà ristabilito già dall’anno prossimo senza modifiche sostanziali. Altri invece, come il Commissario Europeo all’Economia Paolo Gentiloni, hanno affermato che il Patto di Stabilità avrà bisogno di una profonda revisione prima di venire ripristinato. Per Italia, Spagna, Portogallo e Grecia sarà vitale mantenere un alto livello di deficit anche l’anno prossimo e che la sua riduzione avvenga in maniera lenta e graduale. Altrimenti si rischia una contraddizione capace di vanificare gli sforzi realizzati con questo accordo europeo. Allo stesso modo, perché questo deficit sia sostenibile, sarà fondamentale che la BCE mantenga il piano straordinario di acquisto di titoli di Stato a tasso d’interesse basso. Infatti la ripresa precoce delle Nazioni a Nord delle Alpi e dei Pirenei potrebbe spingere la BCE ad interrompere o limitare tale piano, (particolarmente inviso agli Stati settentrionali, poiché accusato di provocare inflazione nei loro territori, tanto che il precedente programma è stato bocciato dalla Corte Costituzionale Tedesca contraddicendo clamorosamente la giustizia europea).

 

2-I soldi non arriveranno senza condizionalità, il potere di controllo delle istituzioni europee e degli altri Paesi sarà rafforzato. Questo potrebbe preoccupare chi, tanto in Italia come in Spagna, finora non si è trovato molto d’accordo con le raccomandazioni europee, talvolta impopolari per entrambi i Paesi. Ad esempio il programma della coalizione di Governo progressista in Spagna mirava a proteggere maggiormente lavoratori e pensionati abolendo le riforme di Rajoy, difese invece dall’Europa, ma anche la promessa di aumento graduale del salario minimo potrebbe adesso non essere facile da attuare.

 

  1. Il processo decisionale UE rimane profondamente inter-governativo, dunque soggetto ai ricatti che offre tale meccanismo. Abbiamo evitato il potere di veto individuale che esigevano i Paesi più contrari all’accordo, ma anche nel compromesso raggiunto, (si approveranno i progetti di spesa e i piani nazionali di riforma a maggioranza qualificata e non all’unanimità), se questo gruppo di Stati scettici ottenesse l’appoggio di qualche Nazione più grande potrebbe ancora imporci condizioni indesiderate.

Certo, possiamo sperare in una certa benevolenza nel breve periodo, ma il peso del nostro enorme debito pubblico e dell’inefficienza strutturale dello Stato italiano sono una pesante zavorra (per noi) e un facile bersaglio (per i cosiddetti “frugali”), anche attraverso il meccanismo del “freno d’emergenza” che ci bloccherebbe temporaneamente l’erogazione dei fondi. Circostanza da non sottovalutare visto che i Paesi Bassi si avvicinano ad elezioni in cui competono chiassose forze populiste.

Inoltre la Commissione è stata lasciata nelle retrovie, il grosso della iniziale proposta Von der Leyen sui programmi congiunti europei, (la parte su transizione ecosostenibile e gli investimenti in sanità e ricerca),  risulta largamente ridimensionata sull’altare della contabilità dei singoli Stati. Infine, si è dovuto abbandonare nuovamente l’idea di far diventare la UE una vera comunità politica organizzata intorno ai principi dello Stato di diritto: Polonia e Ungheria hanno vincolato il loro voto favorevole alla pretesa di non associare l’erogazione dei soldi al tema dei diritti politici e civili.

Insomma sarà ancora necessaria la capacità negoziale che hanno dimostrato i Governi di Italia e Spagna. Inoltre, gli anni a venire saranno cruciali non solo per salvare le nostre economie, ma anche per cercare di dare un futuro migliore alle nuove generazioni. La transizione ecologica e tecnologica dell’intero sistema produttivo, la riforma del sistema giudiziario (più veloce!), la digitalizzazione della pubblica amministrazione, e una riduzione della precarietà lavorativa sono obiettivi indifferibili. Cogliamo l’opportunità al balzo e trasformiamo l’Italia: più moderna e più giusta.

 

Francesco Cuccuini e Michele Testoni

Presidente e Segretario del Circolo PD “Sandro Pertini” di Madrid