Una variante genetica aumenta il rischio Covid

Cellule del Coronavirus al microscopio.
Cellule del Coronavirus al microscopio.

ROMA. – Oltre ai fattori di rischio per Covid già emersi in questi mesi, come l’obesità o alcune patologie preesistenti, ce ne sono anche di ‘nascosti’ nel Dna. Uno di questi è stato appena scoperto da una ricerca italiana, condotta dalla Rete trapianti del Servizio sanitario nazionale, pubblicata dalla rivista Transplantation. Una particolare variante genetica, afferma lo studio, più diffusa nel nord, raddoppia la probabilità di avere l’infezione.

Lo studio ha acquisito i dati sui pazienti positivi nel registro di sorveglianza dell’Istituto superiore di sanità, e li ha incrociati con i dati del Sistema informativo trapianti sul profilo genetico di ben 56.304 persone: i quasi 48mila pazienti con un trapianto d’organo funzionante realizzato in Italia dal 2002 a oggi e le oltre 8mila persone in lista d’attesa per un organo.

Il match ha permesso di isolare, all’interno dell’intera popolazione italiana dei trapiantati e dei pazienti da trapiantare, 256 casi Covid-positivi e di analizzare nel dettaglio il possibile ruolo giocato nell’infezione da alcune caratteristiche del sistema immunitario come gli antigeni HLA e il gruppo sanguigno.

I risultati hanno evidenziato per la prima volta che la presenza della variante HLA-DRB1*08 nei soggetti analizzati è più frequentemente associata sia ai casi di positività, con un’incidenza all’incirca doppia, sia ai decessi per Covid-19, con una probabilità tre volte maggiore.

“Lo studio dunque – concludono gli autori – suggerisce come questa particolare variazione genetica, presente nel 6% della popolazione italiana e maggiormente frequente nelle regioni del Nord Italia (9%) rispetto a quelle del Sud (3%), svolgerebbe meno bene di altre varianti HLA il ruolo di attivazione del sistema immunitario nel riconoscimento del coronavirus”.

Dalla ricerca arriva anche un’ulteriore conferma che i soggetti con gruppo sanguigno A presentano un rischio di infezione lievemente maggiore rispetto alle persone con gruppo 0. Infine, nei pazienti trapiantati e immunosoppressi e in quelli in attesa di trapianto per grave insufficienza d’organo il rischio di infezione è circa 4 volte superiore rispetto al resto della popolazione.

“Questa ricerca può avere importanti implicazioni nell’identificazione di soggetti a maggior rischio di complicanze, perché geneticamente sono in possesso di armi immunologiche meno efficaci per difendersi dal virus – sostiene Antonio Amoroso, medico genetista dell’Università di Torino, coordinatore regionale per i trapianti del Piemonte e primo autore dello studio -. Le indicazioni possono essere utili sia per il controllo della diffusione della malattia e la gestione della sua prognosi, sia per le strategie di pianificazione delle vaccinazioni, quando queste saranno disponibili”.

Lascia un commento