Boris Johnson alla Guerra Fredda, spese militari record

Il premier britannico Boris Johnson durante un intervento alla Camera dei Comuni, Londra
Il premier britannico Boris Johnson durante un intervento alla Camera dei Comuni, Londra. EPA/JESSICA TAYLOR / UK PARLIAMENT / HANDOUT MANDATORY CREDIT: JESSICA TAYLOR/UK PARLIAMENT HANDOUT EDITORIAL USE ONLY/NO SALES

LONDRA. – Un piano multimiliardario di spese militari extra come non si vedeva da 30 anni: per tutelare “la sicurezza dei britannici”, per condividere di più “le responsabilità globali con gli alleati” della Nato e per “estendere l’influenza del Regno Unito” del dopo Brexit in un mondo “mai così pericoloso e intensamente competitivo dal tempo della Guerra Fredda”.

Boris Johnson chiama alle armi i sudditi di Sua Maestà e promette una pioggia di sterline sia per “modernizzare” gli arsenali convenzionali e il deterrente nucleare, sia per affrontare con “tecnologie all’avanguardia” le nuove sfide della cyber difesa, della competizione spaziale e dell’intelligenza artificiale applicata agli apparati bellici.

L’annuncio – secondo colpo a effetto in due giorni dopo quello della rivoluzione industriale verde che dovrebbe segnare la fine dell’era delle auto a benzina e diesel per il 2030 – arriva di fronte alla Camera dei Comuni. Con il premier Tory costretto al collegamento video dall’isolamento imposto dalle cautele Covid, ma deciso comunque a provare a ridare lustro all’immagine del proprio governo a dispetto delle faide interne, delle polemiche sull’emergenza coronavirus, delle incognite sui cruciali negoziati con l’Ue sulle relazioni future.

Sul piatto spuntano 16,5 miliardi spalmati in 4 anni da sommare ai 24,1 previsti nel medesimo arco di tempo come incremento base del budget per le forze armate di uno 0,5% superiore all’inflazione: fino a un totale di oltre 40 miliardi aggiuntivi e a una somma finale stimata da qui al 2024 a 190 miliardi di sterline (212 miliardi di euro), ossia al 2,2% del Pil.

Una quota superiore al 2% chiesto dall’Alleanza Atlantica a tutti gli Stati membri e destinata a consolidare tanto il primato europeo del Regno quanto il suo secondo posto dietro ai soli Stati Uniti negli stanziamenti per la difesa in cifra assoluta fra i partner Nato. Non senza la prospettiva parallela di stimolare 40.000 posti di lavoro grazie alle commesse militari, dalla cantieristica navale all’industria aerospaziale.

Per BoJo ne va della necessità di “fermare il declino” e della possibilità di difendere gli interessi e i valori del Regno come dello scacchiere occidentale in una realtà nella quale – seguendo la sua narrativa – vi sono “nemici” (non citati apertamente, ma fra cui sembra scontato evocare il profilo fra gli altri di Cina o Russia) che tramano “in modo sempre più sofisticato, incluso nel cyberspazio”.

“Ho preso la decisione” di avviare questo programma “generazionale”, epocale, “in faccia alla pandemia poiché il settore della difesa è prioritario”, ha proclamato il premier ai deputati, elencando fra i vari progetti in nuce la creazione di un’agenzia militare ad hoc che si occuperà d’intelligenza artificiale, lo sviluppo di una National Cyber Force, la costituzione di una nuova struttura di comando delle Forze Spaziali incaricata di lanciare un primo razzo vettore con l’Union Jack nel 2022.

Limitarsi a “sperare in bene” dinanzi alle minacce del “terrorismo” o degli “Stati ostili” non è del resto un’opzione prudente, nel messaggio di Johnson. Che intanto non esita a snobbare il ritiro dall’Afghanistan annunciato dall’amico uscente Donald Trump, riservandosi di discutere della sicurezza di quel Paese e del futuro dei contingenti britannici in altre aree di conflitto con i nuovi “amici americani dell’amministrazione eletta” di Joe Biden.

Il tutto sullo sfondo di una retorica da neo-guerra fredda, o quasi, che neppure l’opposizione laburista – passata dalle mani del pacifista Jeremy Corbyn a quelle dell’uomo d’ordine sir Keir Starmer – contesta, salvo rimproverare a Boris di essere carente nella “strategia” al netto dei “grandi annunci”.

E che nelle parole di plauso del deputato Tom Tugendhat, imitatore Tory dei neocon Usa modello George W. Bush, diventa l’occasione per riesumare lo spauracchio del pericolo rosso. “Non potremo spendere più dei comunisti” neppure con queste risorse, sospira Tugendhat riferendosi apparentemente al bilancio militare di Pechino; ma “abbiamo il dovere di essere più aggiornati” di loro.

(di Alessandro Logroscino/ANSA)

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