Un anno di pandemia, Brescia ancora combatte il Covid

Reparto di terapia intensiva nell'ospedale di Brescia.
Reparto di terapia intensiva nell'ospedale di Brescia. ANSA/ANDREA FASANI

MILANO. – Il 15 febbraio del 2020 in piazza della Loggia a Brescia e nelle vicine via San Faustino e Largo Formentone erano passate oltre 250 mila persone tra le centinaia di bancarelle per la festa dei patroni di Brescia Faustino e Giovita. A distanza di un anno, causa pandemia, in quella piazza simbolo della città, due giorni fa c’erano pochi passanti perché la festa non c’è stata: non accadeva dal dopoguerra.

Forse basta l’immagine di quella piazza vuota a rappresentare la tragedia della provincia di Brescia, con la vicina Bergamo tra le più colpite dalla maledizione del coronavirus che comparve il 20 febbraio del 2020, con la scoperta a Codogno (Lodi) del paziente 1.

Un incubo che non è finito, perché Brescia risulta ancora tra le zone della Lombardia con il più alto numero di contagi. Un paese del Bresciano, Castrezzato, è stato dichiarato zona rossa e, ovunque, osservate speciali sono le scuole. Sabato i medici di Codogno e della Lombardia orientale che affrontarono, andando ben oltre il limite delle loro forze, la prima ondata di contagi, si sono dati appuntamento a Brescia.

ASST Spedali Civili di Brescia e Università degli Studi, hanno organizzato il primo incontro nazionale tra i professionisti della salute e gli esperti coinvolti nella gestione che hanno dovuto affrontare l’emergenza sanitaria. L’intenzione è “guardare al futuro per ridisegnare la mappa delle conoscenze e progettare la sanità che verrà”.

Ci saranno le autorità politiche (il presidente della Regione Attilio Fontana, il vicepresidente Letizia Moratti, il sindaco Emilio Del Bono) e anche Annalisa Malara, il medico che scoprì la presenza del Covid nel paziente 1. ‘Le lezioni da non sprecare’ si intitola il convegno.

Un anno di Covid è stato per i bresciani una lezione che non sarà scordata, perché tutti hanno ancora impresso il suono lancinante, ininterrotto delle sirene delle ambulanze che portavano i malati negli ospedali al collasso. Tanto che, il 21 marzo, i medici dell’intera provincia lanciarono un appello: “Le terapie intensive della Lombardia non hanno più posti, bisogna chiudere tutto. Non si può continuare a far circolare le persone”.

Una lezione che certo non sarà dimenticata all’Istituto Zooprofilattico dove tra marzo e aprile lavoravano 13 ore e si analizzavano 1200 tamponi al giorno, lottando contro la scarsità di reagenti (“durante la seconda ondata siamo arrivati a 3000”, spiega la responsabile del Laboratorio d’analisi, Beatrice Boniotti).

Non si potrà rimuovere il giorno in cui il vescovo, Pierantonio Tremolada, benedì le salme delle vittime nel cimitero Vantiniano, dove i feretri erano stati portati perché gli obitori degli ospedali erano ormai pieni. Così come rimane vivido il ricordo dell’alto prelato che portava la croce per le vie deserte del centro della città.

Ci fu, in quei mesi, anche il momento, forte, della solidarietà. Francesco Renga, ex frontman dei Timoria e vincitore di un Festival di Sanremo – con l’ex compagna Ambra Angiolini, con Fabio Volo e altri artisti bresciani – sostennero una raccolta fondi con il Comune, “Sostieni Brescia, dona per la tua città, aiuta le famiglie”, che in breve raccolse alcuni milioni di euro.

La tragedia mise da parte anche la storica rivalità tra ultras del Brescia e dell’Atalanta. “Divisi sugli spalti, uniti dal dolore”, era scritto su uno striscione che fu appeso su un ponte a Sarnico, al confine tra le due province.

(di Stefano Rottigni/ANSA)

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