Pochi al voto in Iran, il falco Raisi verso la vittoria

Elettori alle urne in Ian.
Elettori alle urne in Ian. (ANSA)

TEHERAN.  – “Mio figlio è andato a rubare per darci da mangiare, ed è finito in prigione. Adesso devo pensare alla sua bambina, ma non ho i soldi per sfamarla e per pagare l’affitto. Invece i grandi ladri sono liberi, e nessuno pensa a noi”.

La storia che Mahin, 55 anni, racconta all’ANSA, è l’immagine del dramma che sempre più iraniani stanno vivendo in un Paese schiacciato dalle sanzioni americane e alle prese con una corruzione dilagante. Molti oggi hanno manifestato la loro disperazione disertando le urne. Altri, come lei, recandosi insieme alla nipotina al seggio vicino a Piazza Shush, nel sud povero di Teheran, e votando per il candidato ultraconservatore alla presidenza Ebrahim Raisi, che promette di punire proprio “i grandi ladri”, riportare sotto controllo la spirale impazzita dei prezzi e aiutare i poveri.

L’affluenza fin dalle prime ore del giorno è apparsa limitata, nel nord come nel sud della capitale. Una conferma della forte astensione prevista dai sondaggi, che dovrebbe garantire il successo di Raisi, poiché negli ultimi 20 anni una bassa affluenza ha sempre favorito i conservatori. La maggior parte degli elettori riformisti o moderati ha scelto di non sfidare il caldo torrido per andare alle urne.

I pochi che lo hanno fatto hanno votato per il governatore della Banca centrale Abdolnasser Hemmati, l’unico moderato rimasto in lizza dopo la falcidia delle candidature operata dal Consiglio dei Guardiani ai danni dei principali esponenti di questo schieramento, ma anche di pezzi da novanta di quello conservatore.

Molti ritengono che in questo modo si sia voluta spianare la strada a Raisi per una vittoria sicura, una scelta che risponderebbe al disegno di restringere ulteriormente la cerchia del potere intorno all’ottantaduenne Guida suprema Ali Khamenei.

La pensa così anche Mariam, 37 anni, che però ha deciso comunque di andare a votare nel nord di Teheran e di scegliere Hemmati. “Non perché mi convinca fino in fondo – spiega – ma perché ho paura che la massiccia astensione dia al regime il pretesto di sopprimere la pratica del voto popolare”.

Tra le priorità di Mariam vi sono “i diritti civili e la libertà per le donne”. Cose che non sfiorano nemmeno la mente di Mahin, impegnata solo a sopravvivere. Ma anche lei, sebbene in misura minore, risente dei rincari dei prezzi che si rincorrono settimana dopo settimana, e crede che l’unica strada per migliorare le cose sia mantenere un dialogo aperto con europei e americani, “perché – dice – non possiamo isolarci”.

Questo lo ammettono in tanti, conservatori o riformisti che siano, ed è difficile che Raisi, una volta eletto, cambi radicalmente rotta rispetto al presidente uscente Hassan Rohani abbandonando i negoziati in corso a Vienna per fare rientrare gli Usa nell’accordo sul nucleare del 2015 e così far revocare le sanzioni imposte nel 2018 dall’allora presidente Donald Trump  quando uscì dall’intesa. “Raisi non fermerà le trattative”, conferma all’ANSA un suo sostenitore, l’influente generale dei Pasdaran Rostam Ghasemi, prima di entrare al seggio. “Probabilmente – aggiunge – seguirà una linea più assertiva”.

Ma “il suo sarà un compito arduo, a causa dei problemi economici”. Problemi che negli ultimi tre anni hanno portato a due ondate di proteste popolari che hanno investito decine di città iraniane e sono state represse al costo di centinaia di morti.

“Facciano l’accordo con gli americani, o altro, ma in qualche modo mi aiutino”, dice Mahin, nel seggio del profondo sud di Teheran. Più o meno alla stessa ora, nel nord, Hemmati va a votare alla moschea di Hosseinieh Ershad, accompagnato da un gruppo di sostenitori che scandiscono slogan. Mentre lo aspettano fuori, vengono affrontati da un ammiratore di Raisi, che imputa a Hemmati la vicinanza al governo di Rohani. “Il problema più grande – grida – è la corruzione, e questo per colpa della gente di Rohani. Ma con Raisi tutto cambierà”. L’Iran attende di vedere se sarà così.

(dell’inviato Alberto Zanconato/ANSA).

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