Un Nobel all’economia sociale

I vincitori del Premio Nobel per l'economia 2021, ilCanadese David Card, e agli statunitensi Joshua D. Angrist e Guido W. Imbens. (ANSA)

ROMA.  – Un premio Nobel nel segno dell’economia sociale. Assegnato a tre economisti che con la ricerca empirica hanno smontato la credenza, in voga fino ai primi anni ’90, secondo cui il reddito minimo per legge, tema attualissimo in Usa o in Italia, rischia di colpire l’occupazione, o l’afflusso di immigrati fa crollare gli stipendi dei “nativi” a bassa specializzazione. E stabilito con certezza che le risorse investite nella scuola sono decisive sul futuro degli allievi.

Ha un risvolto politico –  ristabilire l’economia come scienza empirica in anni segnati del negazionismo – la decisione annunciata oggi dall’Accademia reale svedese delle Scienze, che ha assegnato il Premio Nobel per l’economia 2021 al canadese David Card,  all’israelo-statunitense Joshua D. Angrist e all’olandese-statunitense Guido W. Imbens.

Al primo, che insegna a Berkeley, per “il suo contributo empirico alla ricerca economica del mondo del lavoro”. A Angrist e Imbens, rispettivamente docenti al Mit e ad Harvard, per “i loro contributi metodologici alle analisi di correlazione causale”.

Un Nobel che premia anzitutto quella che, agli inizi degli anni ’90, era un’avanguardia sul piano metodologico, basata sulla  “sperimentazione naturale”: la ricerca sul campo, utilizzando cambiamenti indotti da scelte politiche, o da evento naturali, sui comportamenti degli individui come  gruppi di controllo di indagini statistiche o mediche.

Mettendo ordine su un antico cruccio della scienza economica, quello di saper distinguere una reale correlazione da eventi che accadono simultaneamente ma non hanno nesso di causalità, e all’interno di essa trovare ciò che è causa e ciò che è effetto.

Un esempio –  riconoscimento implicito anche ad Alan Krueger,  consigliere della Casa Bianca morto nel 2019 e co-autore di molta della ricerca di Card – è lo studio che mostra, confrontando i fast food in New Jersey e Pennsylvania, che l’aumento del salario minimo in New Jersey non aveva affatto diminuito gli occupati.

O quello, del 1996, che dimostrò numericamente – facendo ricorso anche alla maggior facilità con cui i nati all’inizio dell’anno lasciavano gli studi anticipatamente – quanto le risorse assegnate a una scuola e gli anni di frequentazione possano essere determinanti per il reddito futuro di un allievo.

Infine il paper di Card che – studiando l’esodo dei “Marielitos” che nel 1980 fece sbarcare in pochi mesi 125.000 cubani in Florida aumentando del 7% la forza-lavoro – trovò un impatto “virtualmente nullo” sugli stipendi degli occupati, così come sulla disoccupazione dei residenti.

Ricerche che – come ha spiegato Eva Moerk, economista e membro del comitato che ha assegnato il Nobel – attraverso un “lavoro da detective sul campo” hanno dimostrato che “il salario minimo non è correlato a un calo dell’occupazione” e che “i lavoratori nativi possono persino guadagnare dall’immigrazione”.

“Tradizionalmente abbiamo sempre saputo portare la scienza nel dibattito pubblico”, ha osservato Imbens al telefono in diretta con l’Accademia svedese, emozionato e un po’ intorpidito visto che erano le sei di mattina negli Usa. Senza risparmiare una frecciata agli anni di Trump: “questo è diventato più difficile in anni recenti, speriamo che ora ci sia più attenzione”.

(di Domenico Conti/ANSA).

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