Russia e Cina pronte a sdoganare i talebani

Nel cerchio: Mahjabin Hakimi, 18 anni, pallavolista della nazionale juniores afgana uccisa dai talebani, Immagine pubblicata sul profilo Twitter di Sima Noori, TWITTER

MOSCA.  – La storia vale più per il contesto che per il contenuto. Il summit del formato di Mosca, infatti, racconta molto degli sforzi che “l’altro polo” – guidato da Russia e Cina – sta mettendo in campo per stabilizzare l’Afghanistan post-Usa e, nel contempo, ritagliarsi peso geopolitico. Ma liquidare il vertice di oggi come pura posa sarebbe un errore. Qualche passo avanti c’è. Pratico e non solo.

I talebani nella capitale russa guadagnano, se non un’apertura, almeno uno spiraglio – ammesso che “rispettino le promesse fatte alla comunità internazionale su diritti e inclusività del prossimo governo”.

Anche se da Kabul continuano ad arrivare drammatiche notizie di violenze contro le donne: l’ultima denuncia, riportata da media indiani, riguarda l’uccisione di una giocatrice della nazionale giovanile di pallavolo afghana, Mahjabin Hakimi, che secondo una sua allenatrice è stata decapitata dai talebani a inizio ottobre. La notizia non sarebbe stata finora diffusa dai familiari per timori di rappresaglie.

A Mosca invece a dettagliare lo stato dell’arte è stato l’inviato speciale russo per l’Afghanistan Zamir Kabulov. Ai colloqui la questione del riconoscimento è stata affrontata, e anche il ministro degli Esteri Serghei Lavrov ha fatto capire che prima o poi verrà, se i talebani s’impegneranno nei compiti a casa.

La Russia, ha dichiarato il veterano della diplomacia internazionale, “riconosce” gli sforzi della nuova amministrazione afghana per “stabilizzare la situazione dal punto di vista militare e politico” e si considera “soddisfatta” per il livello d’interazione stabilito con il nuovo governo.

Poi, certo, restano i dubbi di sempre. Sul narcotraffico. Sui rischi per la sicurezza dei Paesi confinanti, molti dei quali rientrano nell’ombrello protettivo di Mosca sotto varie sigle.

L’Isis e al Qaeda, chiarisce il Cremlino, “vogliono rialzare la testa”. I talebani, dunque, non devono assolutamente rendersi disponibili a operazioni destabilizzanti. E i nuovi padroni dell’Afghanistan (ri)promettono volentieri: “Non attaccheremo mai altri Paesi”.

Ora però un po’ di dettagli, per approfondire il contesto di cui sopra. La delegazione talebana era guidata dal vice primo ministro Mullah Abdul Salam Hanafi, con al seguito un drappello di funzionari, tra cui il ministro degli Esteri Ahmadullah Muttaqi. Al summit hanno preso parte i rappresentati di dieci Paesi – gli “stan” dell’Asia Centrale più Cina, Pakistan, India e Iran – dando così continuità al primo vertice del formato di Mosca, lanciato nel lontano 2017 (un’era geologica fa). Insomma, un lavoro di rammendo partito sotto traccia e ora pronto a sbocciare.

Lavrov, da bravo padrone di casa, si è “rammaricato per l’assenza degli Stati Uniti” al vertice e ha reiterato l’auspicio che sia dovuto a fattori contingenti, più che strutturali. Il nuovo inviato speciale degli Usa per l’Afghanistan, Thomas West, ha fatto sapere d’altra parte che verrà in Russia a novembre e questo lascia intendere la volontà di percorrere un cammino comune, almeno per un tratto.

Ma si diceva che c’è pure del pratico, in questo vertice.

Ecco, senz’altro la richiesta avanzata all’Onu di chiamare finalmente la conferenza dei donatori per aiutare l’Afghanistan nella ricostruzione. Mosca è chiara sul punto: si rischia il collasso “economico-umanitario”, con le minacce annesse sul lato della sicurezza e delle ondate migratorie.

I talebani, dal canto loro, assicurano che stanno lavorando alla formazione di un “nuovo governo”, per l’appunto inclusivo, e che presto potrebbero esserci delle novità. Tutti i partecipanti si sarebbero poi detti d’accordo a “scongelare” i fondi della Banca Centrale.

Nella nota congiunta finale i partecipanti del summit hanno infine esortato la comunità internazionale a costruire relazioni pratiche con i talebani “indipendentemente dal riconoscimento ufficiale del nuovo governo afgano” e, al contempo, hanno sottolineato che la creazione di un “esecutivo inclusivo” e rispettoso di tutte le realtà “etnopolitiche” del Paese sarà la chiave di volta per il processo di pace. Ma sui diritti, nulla. “Siamo soddisfatti di questo vertice”, ha chiosato Muttaqi.

(di Mattia Bernardo Bagnoli/ANSA)

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