Riparte nello scetticismo negoziato su nucleare Iran

Il presidente dell'Iran Hasán Rohani visita una centrale nucleare nel suo paese.
Il presidente dell'Iran Hasán Rohani visita una centrale nucleare nel suo paese. (ANSA)

ROMA.  – Sono ripartiti nell’incertezza generale i colloqui sul nucleare iraniano, interrotti oltre cinque mesi fa.

A Vienna la delegazione dell’Iran del presidente ultraconservatore Ebrahim Raisi si è presentata battagliera, esigendo la fine irrevocabile delle sanzioni internazionali, ma anche determinata a raggiungere finalmente un’intesa, per tentare di riportare in vita l’accordo internazionale del 2015 sul controllo del programma nucleare di Teheran, con le potenze del gruppo del ‘5+1’ (Usa, Cina, Russia, Regno Unito e Francia più la Germania con l’aggiunta dell’Unione europea).

In mattinata, prima della riapertura del tavolo, ci sono stati incontri fra Iran, Russia e Cina e Teheran aveva già fatto sapere che non avrebbe avuto bilaterali con gli Stati Uniti, colpevoli di aver sgretolato l’accordo.

Dalla storica intesa del Joint Comprehensive Plan of Action (Jcpoa) del 2015 sono infatti cambiate troppe cose: l’amministrazione Trump nel 2018 decise di uscire unilateralmente da quell’intesa, intessuta dal suo predecessore Obama e dal suo infaticabile segretario di Stato, John Kerry, e ha imposto all’Iran pesanti sanzioni.

Teheran ha da allora usato come arma diplomatica la ripresa progressiva della produzione di uranio con un livello di arricchimento  del 60%: sempre più vicino dunque a quel 90% che consentirebbe alla Repubblica islamica, che rivendica di voler solo produrre energia, di fabbricare quegli ordigni atomici che molte potenze occidentali temono, a cominciare da Israele.

Da quattro mesi, inoltre, a Teheran siede un presidente falco che ha anche alzato barriere contro le ispezioni dell’Aiea, l’agenzia per il nucleare dell’Onu con sede a Vienna che ospita sotto il suo ombrello i colloqui.

I commentatori americani ricordano che l’America di Joe Biden, che pure ha tagliato con la politica unilateralista del predecessore, è pronta ad “alzarsi e andare via” se le cose non si mettono bene. A rendere la situazione più complicata, il conto presentato da Teheran agli interlocutori americani nella capitale austriaca, blindata e in lockdown. L’Iran esige la fine verificabile di tutte le sanzioni imposte dal 2017, che hanno creato danni colossali alla sua economia, comprese quelle non direttamente collegate al nucleare, e l’impegno scritto a non imporne mai più.

A ribadire questo irrinunciabile obiettivo, Al Jazeera osserva come la delegazione iraniana sia composta da persone con competenze economiche e non in fisica nucleare. In apertura dei lavori, Il vice ministro degli Esteri e capo negoziatore iraniano, Ali Bagheri, ha detto che se gli Usa non revocheranno quelle che ha definito le sanzioni “disumane”, è inutile parlare di un ritorno all’accordo del 2015.

All’estremo opposto c’è la campagna intransigente di Israele, verbalmente pronta a tutto il necessario per fermare l’Iran prima che si doti di bombe atomiche: il ministro degli Esteri, Yair Lapid, che domani vedrà Emmanuel Macron a Parigi, oggi ha incontrato a Londra Boris Johnson (uno dei Paesi del 5+1) e ne è uscito un comunicato congiunto in cui Israele e Gran Bretagna dichiarano “l’obiettivo comune” di “impedire che l’Iran abbia l’arma nucleare” con sanzioni severe, ribadendo lo storico scetticismo dello Stato ebraico sull’accordo del 2015, definito un “inganno”.

Nel mezzo, l’Ue per bocca di Josep Borrell fa sapere che quella diplomatica è “l’unica strada” e che occorre “fare di tutto per riportare l’accordo in carreggiata”. Anche gli altri Paesi che partecipano ai colloqui viennesi cercano di mediare, esprimendo – come ha fatto il capo negoziatore russo, Mikhail Ulyanov – “cauto ottimismo”, sostenendo che ad un nuovo accordo non ci sono vere alternative.

(di Fabio Govoni/ANSA).

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