“Bombe a grappolo e al fosforo sulla città di Zelensky”

Bombe a grappolo. (ANSA)

ROMA.  – I bombardamenti russi piovono sull’area di Kryvyi Rih, la città natale di Volodymyr Zelensky. Dopo una notte di attacchi, è il capo dell’amministrazione militare regionale Oleksandr Vilkul a denunciare i raid nel distretto strategico a cavallo tra il sud e l’est dell’Ucraina, accusando la Russia di aver usato ordigni vietati, come bombe a grappolo e munizioni al fosforo.

Un obiettivo nel mirino da giorni nell’oblast di Dnipropetrovsk, attaccata anche con lanciarazzi multipli, mentre missili da crociera sono stati lanciati sulla vicina Zaporizhzhia.

Ma la battaglia continua su tutti i fronti strategici, da Kharkiv al Donbass, con le forze ucraine che rivendicano la frenata dell’avanzata nemica, all’assalto infinito sull’acciaieria Azovstal di Mariupol.

Sulla fabbrica-bunker le truppe di Mosca continuano gli attacchi, ostacolate però dalla necessità di non colpire l’impianto in modo irreversibile, rendendolo inutilizzabile dopo un’eventuale conquista. Prosegue così la tattica di logoramento, mentre i circa mille combattenti rintanati nei suoi cunicoli, la metà dei quali feriti, secondo Kiev, sono sempre più isolati dopo che i russi hanno bloccato le uscite dai passaggi sotterranei, “indicati al nemico da un traditore”, secondo il consigliere del sindaco Petro Andriushchenko.

Uno strangolamento lento che rende sempre più disperati gli appelli degli ultimi difensori ucraini della città, le cui scorte di cibo, acqua e munizioni si assottigliano inesorabilmente. Le milizie filorusse del Donbass avevano rivendicato di avere ormai “le mani libere”, dopo il completamento dell’evacuazione dei civili, confermato da Kiev e Mosca. Che ora, dopo giorni di esitazioni e smentite, è stato ammesso anche dal reggimento Azov.

“Se parliamo della fabbrica Azovstal, i civili di cui eravamo a conoscenza, i civili che erano con noi, i civili di cui ci prendevamo cura – ha detto il capitano Svyatoslav Palamar, vicecomandante del battaglione – non sono più con noi. Sono riusciti a lasciare l’impianto”.

Per l’evacuazione dei soldati, Kiev assicura il massimo impegno diplomatico, dopo la proposta di uno scambio di prigionieri almeno con 38 feriti gravi che hanno bisogno di cure urgenti, ma ammette che la palla è nel campo di Mosca.

Sostanzialmente escluso un intervento armato, la speranza, sempre più flebile, resta quella dell’intervento di un mediatore, magari il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, cui nelle ultime ore ha lanciato un appello “da padre a padre” il genitore di uno dei soldati intrappolati. Invocazioni sempre più disperate, come quella del comandante dei marines intrappolati,

Serhiy Volyna, che su Twitter ha chiesto aiuto a Elon Musk: “Dicono che sei stato teletrasportato da un altro pianeta per insegnare alle persone a credere nell’impossibile… Aiutaci a uscire da Azovstal in un Paese terzo. Se non tu, chi?”.

Sul fronte orientale, intanto, le forze ucraine continuano a resistere, rivendicando la frenata dei nemici a partire dalla regione di Kharkiv, la seconda città del Paese vicino al confine russo, strategica anche per condurre l’offensiva sul Donbass.

Nel Lugansk, dopo la ritirata dei difensori di Popasna, devastata da settimane di bombardamenti, l’avanzata delle truppe di Mosca viene rallentata in combattimento o con azioni di sabotaggio, come la distruzione di due ponti sul fiume Siversky Donetsk, nei pressi del villaggio di Bilohorivka.

I raid russi continuano però a mietere vittime. Nella regione di Chernihiv, tre persone sono morte e 14 sono rimaste ferite in un attacco che ha distrutto una scuola e una palestra, secondo le autorità locali. Attacchi indiscriminati contro cui si è levata anche la denuncia dell’Alto Commissario dell’Onu per i Diritti umani, Michelle Bachelet, secondo cui “la portata delle uccisioni illegali, compresi gli indizi di esecuzioni sommarie nelle aree a nord di Kiev, è scioccante”.

“Dieci settimane di orrore assoluto”, come l’ha definito la viceministra degli Esteri ucraina Emine Dzhaparova, che per l’Unhcr ha già causato oltre 6 milioni di rifugiati, mentre altri 8 milioni di ucraini sono sfollati all’interno del loro Paese.

(di Cristoforo Spinella/ANSA).

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